I carabinieri forestali del Nipaaf: il nostro esposto sul disastro ambientale all’Inviolata risale al 2016, ma la Procura pare non interessarsi dell’hinterland romano

Da Adnkronos: sei anni e quattro mesi per Manlio Cerroni e tre anni per il suo braccio destro Francesco Rando. E’ quanto ha stabilito la III Corte di assise di Roma nel processo, nato dall’inchiesta per disastro ambientale sulla discarica di Malagrotta. La Procura, aveva sollecitato una condanna a 17 anni per Cerroni, ora novantasettenne, e a 11 anni per Rando, ultraottantenne. Con la sentenza emessa ieri pomeriggio i giudici hanno condannato gli imputati anche al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, tra cui il Comune di Roma e la Regione Lazio, disponendo una provvisionale totale di 500mila euro.

Manlio Cerroni, 100 anni nel 2026, padrone di Malagrotta ed anche dell’Inviolata (dove opera una società del suo gruppo, la «Guidonia Ambiente srl», titolare dell’impianto Tmb, in azione per trattare i rifiuti di Roma. Inoltre, nonostante l’interdittiva antimafia, la «Guidonia Ambiente srl», in proposito ha stipulato il contratto con la “AMA spa”, la municipalizzata del Campidoglio del sindaco Pd Roberto Gualtieri. Manlio Cerroni, invece, è stato sindaco Dc di Pisoniano. Ritratto, nella foto, durante l’ultima udienza del procedimento descritto su questa pagina

I pm capitolini contestavano di aver “cagionato un disastro ambientale consistente nell’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema (suolo, sottosuolo, flora)” e “un’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione (la discarica si estende su una superficie di circa 160 ettari) e per il numero delle persone offese o esposte al pericolo”.
“Ricorreremo sicuramente in Appello – commenta all’Adnkronos Alessandro Diddi, l’avvocato difensore di Cerroni –. L’istruttoria non ha individuato da quale punto sarebbe fuoriuscito il percolato poiché tutte le prove idrauliche disposte non sono riuscite a individuarlo. Attendiamo di leggere le motivazioni per capire quale sia questo punto considerando che la Corte ha ritenuto evidentemente che si poteva fare di più per evitare questa fuoriuscita. Va sottolineato – puntualizza il penalista – che secondo l’accusa sostenuta dalla procura Cerroni e Rando avrebbero avvelenato le acque anteponendo il lucro personale alla tutela dell’ambiente e della sanità pubblica, ipotesi invece scartata dalla Corte che non ha infatti comminato la pena richiesta dai pm a 17 anni. In ogni caso ricorreremo perché non accettiamo che Cerroni, anche colposamente, possa aver inquinato l’ambiente”.