di TOMMASO VERGA
IL CONTRASTO alla criminalità organizzata risulta l’elemento caratterizzante della storia professionale di Francesco Menditto, il procuratore della Repubblica insediatosi a Tivoli a fine maggio. Un “filone” che non comprende soltanto la lotta alle organizzazioni “classiche”, ma il richiamo al rispetto delle regole nelle modalità dell’agire sul versante dell’economia e l’esame di quanto la sovrintende e ne discende. Non altrimenti si deve giudicare quanto sta accadendo in questi giorni. Il procuratore ha dedicato il tempo necessario a conoscere l’ambiente che deve amministrare, e forte delle vicende che dalla città maggiore sono approdate al “palazzaccio” (come i romani chiamano il palazzo di Giustizia) s’è convinto che fosse il momento di entrare in azione. Non passando in rassegna il protocollo ma riunendo in unico fascicolo denominato il “caso Guidonia Montecelio”.
Non si spiega altrimenti il fatto che il capo della Procura abbia deciso di assegnare a un pool di inquirenti le indagini sulla città. Una risoluzione di portata straordinaria. Tre sostituti – Luigi Pacifici, Andrea Calice, Filippo Guerra – si occuperanno dell’amministrazione pubblica. L’equivalente di “Mafia capitale”: anche lì tre pubblici ministeri – Paolo Ielo, Giuseppe Cascini, Luca Tescaroli – difendono lo Stato dagli squali di matrice politica. Non c’è proporzione? 1) la corruzione è un reato grave di per sé, non si misura in quantità, per non aggiungere concussione ed estorsione; 2) a Guidonia nessuno scommette su quale scartoffia del Palazzo supererà l’esame. Per non dover convenire che saranno numerose.
“Guidonia anno zero”: la scelta riporta al titolo di uno dei capolavori di Roberto Rossellini. Se ancora in questi mesi di commissariamento del Comune, segnato da perquisizioni pressoché giornaliere delle forze dell’ordine, persone trattavano comunque il ristoro delle loro attività criminali, si comprende appieno la necessità di un azzeramento, di un radicale repulisti. Perché non si tratta soltanto di un episodico fatterello di cronaca, ma di spazzare via un modo di intendere e di imporre il rispetto delle regole. Soccorre un paradosso. Il soggetto “vittima” dell’estorsione comunque mantiene la parola, eroga la dazione concordata nonostante il richiedente sia un “signor nessuno” visto che il Comune è retto da un commissario prefettizio. Semplice il motivo: “alle prossime elezioni lo ritrovo, meglio tenerselo amico”.
Dimostrazione che la corruzione a Guidonia si è fatta costume, una pratica burocratica. Basta intendersi sulla percentuale. Di un appalto, di un affidamento, di un lavoro di “somma urgenza”. Può cambiare la denominazione, non “ mazzette” ma posti di lavoro, che si traducono in voti, meccanismo per l’autoriproduzione del ceto politico. Il richiamo a una nuova Tangentopoli è del tutto improprio. Oggi la corruzione sostiene il tenore di vita dei singoli e della cerchia dei sostenitori, riservando nel passaggio la quota-parte destinata ai dirigenti dell’apparato amministrativo. A quel tempo ne beneficiavano in larga misura i partiti. Che però non ci sono più.
L’ANNO ZERO. Tutto ha inizio con le elezioni di due anni fa. L’ingresso del Movimento 5stelle in Consiglio comunale; la “messa per iscritto” sul Municipale, l’organo del Comune, da parte di Elisabetta Aniballi, delle decisioni sbagliate – o persino illegittime – della giunta Rubeis.
I “grillini” avevano il difetto di “essere fuori dal giro”. Dimostrato dal primo gesto ufficiale, il dossier al prefetto sugli atti cittadini – senza seguito, Qualcuno dovrebbe ammettere di aver sottovalutato –. Sul consenso dei due eletti è apparso immediatamente chiaro che il “sistema” non avrebbe potuto contare. Bisognerebbe risalire al secolo scorso, alla Guidonia degli anni Settanta-Ottanta per trovare un equivalente. Con l’effetto di aver consigliato ai “reietti” di non demordere dagli impegni – nonostante qualche intimidazione –, il che ha richiesto a sindaco, assessori, dirigenti, una certa cautela nella produzione amministrativa. Un rallentamento che non poteva durare. Il “sistema” non lo sopportava. Tanto è vero che è esploso.
La pila di barattoli è rotolata definitivamente quando Elisabetta Aniballi ha iniziato con coraggio a raccontare contenuto e genesi di atti pubblici sul periodico cittadino ufficiale. Per farle capire da che parte doveva volgere l’attenzione le hanno distrutto l’automobile. Era il 5 maggio 2015. Un gesto mafioso, da criminalità organizzata. Gli accadimenti sono collegati? Domanda rimasta senza esito, l’auspicio è che nuove indagini facciano luce, su chi ha compiuto l’attentato e sui mandanti. Ma non ci sorprenderebbe se venissero a galla volti noti.
TUTTI I POSTI OCCUPATI. Chi non appare per nulla sconvolto, anzi, disinteressato agli eventi, sono i partiti politici. Il sospetto che se lo aspettassero. Ma come, se non ci sono più? Infatti lo stanno dimostrando. A destra si riuniscono attorno a un tavolo e decidono di fare tante liste: contro i partiti, civiche, senza simboli, di destra-sinistra-centro, delle persone perbene e di quelle chissà. Musicano gli arzilli – quelli che hanno beneficiato dei favori di Gianni Alemanno al governo nazionale o della città di Roma oppure inscritti nell’elenco-Atac di “bertucciopoli” –, mentre nemmeno un cenno al fatto che tra i partecipanti indistintamente tutti hanno sostenuto il sindaco Rubeis e il suo vice Andrea Di Palma fino alla conclusione traumatica del governo cittadino. Quasi otto anni di complicità, indifferenti al fatto che, mercé il loro apporto, entrambi risultano non i soli ma tra i maggiori responsabili delle condizioni di Guidonia. Solidarietà la definiscono, impossibile da scalfire, tanto che se chiedi come sia stato possibile far costare due milioni di euro un asilo infantile (senza rubinetteria d’oro e Jacuzzi junior) rispondono che “tanto ha pagato la Comunità europea”. Unanimi. Compresi quelli a favore del ritorno alla lira e dell’uscita dal mercato unico. Si consiglia un turno di riposo, preludio al prepensionamento senza appannaggio.
Al centro va meglio, molto meglio. E’ vero, litigano. Ma non sull’argomento principe, la corruzione. Si preparano alle elezioni. Allora spiegheranno il loro modello di città? Cosa fare nell’area metropolitana sui rapporti con Roma e nella fase intermedia con Tivoli? No, litigano sulle primarie (infatti sarebbe funzionale un primario). Da quasi un decennio si dichiarano eredi di Berlinguer e di Aldo Moro. Tanto che hanno promosso a censore e moralista il processato (e non condannato per intervenuta prescrizione) vicesindaco della giunta della Tangentopoli guidoniana. Questo è un partito (le carte almeno così confermano) che a Guidonia si regge per il fatto che dipende dalla “politica”, nel senso letterale, dato che i suoi esponenti maggiori ricevono la busta-paga grazie all’incarico al quale i capicorrente li hanno promossi. Si consiglia il pensionamento.
Entrambi gli schieramenti ritengono che ci sia spazio sufficiente da qui alle elezioni per esaudire ogni aspirazione. Escludendo, consciamente o meno, la dinamica che allo stato appare la più probabile. E comunque inevitabile. Alle conclusioni del pool risponderà un carro capiente a portare in tribunale le carte del Comune. Non di minore dimensione dovrà essere quello destinato alle persone. Sarà l’unico tempo disponibile, probabile che ne rimarrà, metaforicamente, “uno soltanto” (Highlander, l’ultimo immortale).