di TOMMASO VERGA

imagesUn povero, una famiglia disagiata, un infermo vengono sostenuti dal Comune. Un funzionario, un dirigente dell’ente si aumenta lo stipendio. Nell’un caso, i beneficiati hanno diritto alla riservatezza. Nell’altro, i cittadini hanno diritto alla chiarezza. Le due cose non urtano il buonsenso, non risultano discutibili. Meno che a Guidonia Montecelio. Dove 16 consiglieri comunali – ovvero tutti i presenti, maggioranza e minoranze – il 17 febbraio approvano la risoluzione “diritto all’oblio” tra le regole di funzionamento del Comune. D’ora in avanti, gli atti saranno inaccessibili dall’esterno. Inutile cercarli sul sito. Un bel colpo. Assestato oltretutto a quegl’impiccioni della stampa che quotidianamente rompono le scatole a sindaco, assessori, dirigenti. Che adesso, senza “l’assillo delle notizie che escono”, moltiplicheranno gli “errori”. (Riservato appunto agli operatori dell’informazione: una qualche iniziativa di protesta?).
“… perché il Garante della privacy ha condannato il Comune di Velletri a… me pare… 10, 20 mila euro su ricorso di un cittadino, neanche interessato al procedimento”. Sin dal preambolo, si coglie pienamente il solido percorso logico-giuridico che ha portato il Consiglio comunale di Guidonia Montecelio a decidere di “secretare” gli atti. Il verbo usato è stato, con non invidiata proprietà di linguaggio, “secretare”: “La legge dice che la delibera è esecutiva dopo 10 giorni, ora dopo 15 sparisce dall’accesso dall’esterno”. Altre perle: “In materia la giurisprudenza è costante”. “Poi c’è questo famoso ‘diritto all’oblio'”. Famoso? Diritto? Oblio?
Punti interrogativi che – per esplicita dichiarazione – trovano soluzione nel perimetro alle stanze del municipio. Dentro al quale si respirerà una “giurisprudenza costante”. Quanto al “diritto”, l’attenuante è che si faccia confusione con la sentenza della Corte di giustizia europea e con il conseguente documento del Garante della privacy. Di due mesi fa.

Il paragone con il Garante (che ha deciso su tutt’altro)

Come si può leggere (in basso, integralmente), quanto descritto non riguarda Velletri (forse un cittadino che abita nel comune, non il Comune). Né altri, Comuni, Province, Regioni, Stato. Semmai, viceversa, “colpiti” i motori di ricerca internet, e, in solitario, Google… (ora c’è il rischio che da Mountain View citi in giudizio Guidonia per uso improprio di un loro brand). Per la cronaca: su 9 ricorsi al Garante, due gli ordini di cancellazione, che, si specifica, non debbono né possono ritenersi “automatici”. Dev’essere puntiglioso e puntuale l’esame delle motivazioni. Tanto da autorizzare Google a mantenere in vita “voci” non ritenute meritevoli di oblio. Quindi, anche si volesse prendere a paragone, quello che risulta è che ogni caso necessita di una procedura di valutazione, specifica. Anche di notte non tutti i gatti sono bigi.

Interesse ecumenico consiliare al diritto all’oblio

Il “Ceasescu pensiero” è stato approvato all’unanimità. Evidente l’interesse sovrano alla difesa dell’oblio. Relatrice della premessa e della modifica, Rosa Mariani, la segretaria comunale. Della quale non si potrà più rammentare la vicenda dell’indennità di galleggiamento da lei richiesta e da lei approvata a favore di lei stessa (né dell’impegno – verbale – del sindaco Eligio Rubeis ad occuparsene). Sarebbe oltraggio. Al Palazzo e all’oblio…
Sotto la coltre riposeranno tranquilli la sentenza sui 100 mila euro da pagare all’Ipsoa perché il Comune non s’è presentato alle udienze; i pagamenti in-spiegati per la nuova viabilità Tor Mastorta-Selciatella; gli appalti, le promozioni, la coop dell’assicuratore che indirizza i giovani sulla retta via; i doppi incarichi dei dirigenti controllori-controllati; tangenti, mazzette, bustarelle; l’Inviolata, i benefit per la mostra canina, il censimento degli alberi a Passo Corese; i concorsi per dirigere i dirigenti. Arriva l’oblio. Addio (riservato a chi felice e contento brinda credendo sia finita qui).

Diritto all’oblio: prime pronunce del Garante dopo i no di Google

(newsletter 22 dicembre 2014)

Il Garante privacy ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. A seguito della recente sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto all’oblio, Google è infatti tenuta a dare un riscontro alle richieste di cancellazione, dai risultati della ricerca, delle pagine web che contengono il nominativo del richiedente reperibili utilizzando come parola chiave il nome dell’interessato.

La società deve valutare di volta in volta vari elementi quali ad esempio: l’interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall’avvenimento, l’accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell’ambito professionale di appartenenza. Di fronte al diniego di Google, gli utenti italiani possono rivolgersi al Garante per la privacy o all’autorità giudiziaria.

Le segnalazioni e i ricorsi pervenuti al Garante, riguardano la richiesta di deindicizzazione di articoli relativi a vicende processuali ancora recenti e in alcuni casi non concluse.

In sette dei nove casi [doc. web nn. 3623819, 3623851, 3623897, 3623919, 3623954, 3624003 e 3624021] definiti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l’aspetto dell’interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio.

In due casi [doc. web nn. 3623877 e 3623978], invece, l’Autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti. Nel primo, perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona. Tutto ciò in violazione delle norme del Codice privacy e del codice deontologico che impone di diffondere dati personali nei limiti dell'”essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” e di non descrivere abitudini sessuali riferite a una determinata persona identificata o identificabile. L’Autorità ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le url segnalate.

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3623678