di TOMMASO VERGA

L'intervento dei vigili del fuoco a Villalba

L’intervento dei vigili del fuoco a Villalba

PROTAGONISMO fino all’autolesionismo, autoreferenzialità, abbreviazioni e scorciatoie per rimediare un titolo sull’informazione locale. Una settimana fa, il documento che dimostrava come l’assessore Adriano Mazza (ma nessuno ne ha chiesto le dimissioni: Forza, Italia!) e i suoi uffici avessero clamorosamente sbagliato la tabellina delle addizioni, aumentando di conseguenza fino al 30 per cento la Tari (TAssaRIfiuti) a carico delle famiglie di Guidonia Montecelio, era stato “travolto” dal clamore della disputa (“in famiglia”…) determinata dalla firma, quella di Mario Lo Muscio, contestato segretario del Pd cittadino: “Non dovevi, era compito mio” gli ha urlato a brutto muso Emanuele Di Silvio (il capogruppo). Così, la rivendicazione sulle competenze obnubilava il senso di positività provocato dalla diffusione di un atto che sottolineava la carenza della maggioranza e dell’esecutivo cittadino e riportava nei bilanci familiari somme altrimenti sborsabili. Quindi, “fastidio” e consueta conclusione: “Ma questi litigano anche quando producono una cosa fatta bene?”.

Nel panorama della bottega locale adesso si segnala il chiosco incendiato di Villalba. A giudicare il livello della proposta del Di Silvio, un fatterello, da ricondurre al “piccolo mondo antico”. Mentre è l’ennesima dimostrazione del “cambio di passo”. Al quale non si presta attenzione. Perché, Villalba inclusa, gli incendi sono stati tre a Guidonia Montecelio, in altrettanti locali pubblici. Poi c’è la bomba-avvertimento – secondo gli artificieri dei carabinieri perfettamente adeguata alla bisogna – non esplosa fuori di un locale in procinto di aprire a Tivoli. Aggiungi le sale da gioco sigillate per ordine dalla Procura di Reggio Calabria (con proprietà riconducibili a una precisa parte politica). Ed infine, qualche cenno (iniziale, ma con conseguenze per i riluttanti) di “ti proteggiamo noi, ora sai a chi rivolgerti”. Un quadro preoccupante, assai preoccupante, determinato dall’insediamento ormai stabile di ceppi criminali, indigeni e non, inizialmente interessati al controllo del mercato degli stupefacenti, della cocaina in particolare, e via via attratti da altre lucrose iniziative “imprenditoriali”. Da sottolineare, che l’inizio si potrebbe – almeno dal punto di vista della conoscenza pubblica – far risalire all’attentato all’auto di Elisabetta Aniballi, la portavoce del sindaco Eligio Rubeis, e alle successive minacce contro Marco Bertucci (a quanto sembra non cessate), consigliere comunale di Fi a Guidonia.

Una sala di slot machine

Una sala di slot machine

Episodi criminosi che, riflettendo sulle circostanze, potrebbero ricondursi all’espressione di una scelta determinata e di un unico disegno. Alleata la crisi dell’economia e la mancanza di lavoro, un’organizzazione sta riproponendo nell’area tiburtina il “modello” che gli anziani ricordano bene, quello della fine degli anni ’70. Anche allora si cominciò dalla cocaina e ci si espanse alle altre forme di crimini, ad esempio il “pizzo” in cambio della protezione (anche qui, il contesto: due cadaveri seppelliti in un terreno al confine tra Guidonia e Marcellina, i tre riemersi dal laghetto San Giovanni di Collefiorito, più di mezza dozzina di morti ammazzati senza autore). A giorni alterni, ogni notte saltava una saracinesca a Tivoli, a Villalba, a Villanova, al punto che ci furono esercenti che rinunciarono all’attività pur di non sottostare al ricatto.

Oggi, controllando organicamente il territorio da San Basilio a Tivoli, i clan – siciliani e albanesi, per alcuni anni in contesa tra loro avrebbero poi “firmato la pace”, definendo aree e ambiti di competenza – dispiegano il potenziale. La crisi delle attività e la disoccupazione – unite alla ludopatia causata dalle macchinette “mangiasoldi” – sta rifornendo l’organizzazione di “cavalli” da addestrare, che aumentano di numero, e crescono nella consapevolezza di incamerare proventi, i soli che garantiscono l’esistenza quotidiana e la prospettiva futura.

C’è poi il sospetto, ma anche qualcosa più di un “sospetto”, che parte del tutto sia presieduto da “colletti bianchi”. Occupati ad investire i guadagni in attività lecite. “Arrembaggi” a comparti che versano in difficoltà ma che, se sostenuti adeguatamente sotto il profilo finanziario, si possono utilizzare per la classica funzione: il ricavo dell’esercizio in senso stretto altresì segnalando la propria presenza sul “mercato”, e il riciclaggio. Approfittando ovviamente della totale insipienza della politica e del governo locale. Si pensi a certe licenze commerciali, supermercati eccetera, che sembrano ritagliate su misura.

Va ancora aggiunto che, al momento, i casalesi non hanno messo il naso fuori dalla porta. Ci sono. Anche loro. Nello schema che è proprio del clan campano, stanno attentamente studiando il territorio, il contesto, la portata dei possibili benefici. Si vedrà non tra molto quanto l’”analisi di mercato” renderà esplicita o meno la presenza.

A un “quadro” così descritto si risponde con una interrogazione… Sarebbe bene che il mittente chiarisse come individuare il destinatario. A Locri avrebbero pensato (e fatto) ben altro.

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