(t. ve.) OFF BORDER. Si perdoni, per una volta, un po’ di righe (intra)-extraterritoriali. Roma è senza sindaco. Sullo scranno più alto dell’Urbe ora assiso è il prefetto Francesco Paolo Tronca, da Milano (giunto dalla “capitale morale” a quella “priva di anticorpi”. Primo compito, si presume, partecipare tra cinque giorni al processo contro capi e comprimari, seguaci e via enumerando, del sistema “mafia capitale”. Sono vietati accostamenti tra le vicende del Campidoglio con gli altrettanto titolati dalle gesta che hanno visto agli arresti Mario Mantovani, capo meneghino di Forza Italia, vicepresidente della nemmeno sfiorata dalle relative indagini giunta regionale lombarda. Raffaele Cantone dixit).
Prima questione: di conseguenza, anche la Città metropolitana è stata commissariata. Faranno le valige Mauro Alessandri, il suo “esecutivo” (nella sostanza; il titolo è vietato dalla legge istitutiva) e il “parlamentino” che presiede l’ente. Allora, allora i partiti sfruttino l’occasione del time-out per determinare le condizioni affinché a maggio 2016 i cittadini di Roma e provincia possano partecipare al rinnovo dell’assemblea. Naturalmente con il voto, per quanto diventato atto desueto ma ancora presente nei dizionari della lingua italiana e della politica. Nonché, per quanto attuale, nella Costituzione della Repubblica.
Nel merito dell’uscita di Ignazio Marino ognuno ha avuto modo e tempo di esprimere le proprie opinioni. Quella unanime, indiscutibile, è che il Pd non lo voleva, la vittoria alle “primarie” spiazzò partito e dirigenti. Che già all’indomani dell’insediamento diedero il via alla guerra. Non soltanto sotterranea. In questi giorni di “botte” e risposte, ci si è dimenticati di Francesco D’Ausilio, l’ex capogruppo capitolino, il quale, proprio in tale veste, commissionò alla Swg un “sondaggio privato” per misurare il grado di consenso del “suo” sindaco nella città. Esattamente un anno fa. Le polemiche successive gli costarono le dimissioni dal vertice del gruppo (appresso verranno quelle per “mafia capitale”). Comunque, oltre che i Mattei, Renzi e Orfini (che, ha detto ai cronisti, vorrebbe tornare al precedente lavoro: ma non risulta che Massimo D’Alema voglia ancora un segretario), e, com’è canonico, l’opposizione politica, il “marziano”, dopo due anni, s’è trovato contro principalmente l’informazione. Schierata e come non mai unanime nel giudicare dannoso l’ex sindaco. Come che sia o la si voglia interpretare, la storia – al momento – è finita. “Andate in pace”.
Non s’offenda nessuno. I cattolici per primi. Ma il saluto rituale introduce il grande assente in tutta questa vicenda: l’apprezzamento sulle intromissioni del Vaticano. Qui si pone davvero la “questione di principio” d’uno Stato straniero che interviene, prendendo posizioni oltretutto intransigenti, su aspetti della vita politica d’un altro. Si è iniziato con il tema dei diritti. Ovvero dall’ordinario, come avviene dappertutto, da sempre. Motivo, di per sé, che non ha provocato reazioni diverse dalle consuete. Il pensiero delle gerarchie ecclesiastiche si conosceva. Ma si trattava di un’esca. Perché, di seguito, si è pigiato sull’acceleratore. Non solo Avvenire – il quotidiano della Cei, i vescovi italiani –, particolarmente l’Osservatore romano, organo del Vaticano: “Questa vicenda di Marino è una farsa”; “Una classe dirigente all’altezza” per Roma; il “bene comune trascurato”. Se non oltre, alla pari di un partito.
In altri tempi non sarebbe stato consentito, si sarebbe scatenata la bufera in difesa dell’autonomia delle scelte, della laicità. Ma non ci sono più i radicali. E nemmeno i socialisti e i comunisti. Ci si è “modernizzati”. Nessuno ha fiatato, protestato, complice e totale l’assenso dei cronisti e dei commentatori sulla inconcepibile e inammissibile ingerenza messa in mostra a favore dell’allontanamento del sindaco. E non si sta parlando di Ignazio Marino.
Sul menabò, già predisposta la prossima puntata. Titolo: chiedere alla Santa sede l’indicazione del nome d’un primo cittadino “adatto”.
info@hinterlandweb.it