di TOMMASO VERGA
C’E’ RICASCATO. Niente da fare. Il personaggio è fatto così. Intrinsecamente. Ennesima lunga prolusione, nobili concetti si dilungano sino all’inutilità, estraniati dal contesto conducono a consacrare il prolusore, a preparargli un apposito e dedicato altare. Inceve niente. Nemmeno stavolta Andrea Di Palma – o chi per lui, c’è un ghostwriter? – è riuscito a sottrarsi al “culto sfrenato del proprio io” diagnosticherebbe lo psicologo, un egolatra lo classificherebbe il dizionario. Perché idee ed ‘elaborazione’ non sono sue. L’attenzione interessata ad evitare una rinfusa (“almeno un’occhiata è necessaria” deve aver pensato), quindi per ciò “distraente”, assorbono la concentrazione sulla forma ma talmente ignoti i contenuti da fargli dimenticare che il suo compito dovrebbe investire Guidonia Montecelio: del tutto ignorata nella rappresentazione offerta al Consiglio comunale del 3 marzo. Nella concione declinata ai presenti – e replicata sul personale profilo facebook – la città che vuole presiedere non c’è. Un discorso adatto a tutte le stagioni così come a ogni livello istituzionale e territoriale, subito adottato dal sindaco di Vattelapesca.
Perché c’è ricascato? Avvenne già in tempi andati, quando Andrea Di Palma “militava” nel centrosinistra. Il quotidiano Guidonia Oggi affrontò il tema relativo al “modo” di interpretare il giornalismo. Lui replicò con uno scritto sull’etica delle professioni, copiato, senza modificare riga, da un compendio di psicologia leggibile su Google. L’equivalente di quel che ha combinato di nuovo.
Quanto segue sono i testi comparati di Andrea di Palma e di Luca Molinari (“Una voce che chiamava nel deserto della Dc – L’eredità di Giuseppe Dossetti”). A volte il testo è identico, altre è manipolato, adattato ai tempi e alla bisogna (ad esempio: Luca Molinari scrive di “crollo della Prima Repubblica”; rettifica Di Palma: “crollo della Prima e della Seconda Repubblica”).
Va precisato che la ricerca ha “occupato” solo un paio d’ore. E s’è arrestata qui. Il materiale raccolto è apparso sufficiente a giustificare l’assunto “Di Palma è un ricopione seriale”. Con ogni probabilità, se avessimo continuato sarebbero con molte probabilità venute fuori altre “perle”, il web è una miniera inesauribile (ma chi ne ha voglia può continuare l’esplorazione).
In conclusione però il discorso non può non tornare alle questioni serie. Intanto non si può evitare di chiedere all’autoinvestito sindaco (di Guidonia Montecelio) se ritiene legittimo (nel senso proprio: della legalità, delle norme che certamente conosce) appropriarsi di un’opera dell’intelletto a piacimento, nemmeno citando la fonte. Quindi: ma che figura fa il Comune se chi lo rappresenta usa la spregiudicatezza che Andrea Di Palma ha messo in mostra? E la dignità dell’ente? Infine: lui, uomo di destra (almeno per il momento) non ha pudore a utilizzare Giuseppe Dossetti, che la sua parte politica – variegata ovviamente, tra prima, seconda, terza, quarta eccetera repubblica – ha combattuto senza ritegno, sino alla diffamazione? Sicuramente avrà preventivamente avvertito Alfano. O forse no, tanto… Ora basta. Ma davvero, mica sui manifesti.
Ammantarsi di nobiltà con l’uso della Comunità del Porcellino
NEL 1969 la “scelta socialista” di Livio Labor, l’anno seguente il congresso delle Acli di Emilio Gabaglio a Vallombrosa. Conseguente, il rapporto continuo, costante e organico, con la “chiesa del dissenso” nelle sue espressioni ideali e organizzate. Furono la Comunità del porcellino, la Corsia dei servi, don Sardelli, dom Franzoni, Com nuovi tempi, i Cristiani per il socialismo, la Cisl di Carniti, le comunità di base, gli (inevitabili) approfondimenti sulle opere e l’agire di Franco Rodano ma anche su quel controverso e singolare personaggio rispondente al nome di Paolo Pecoraro, il ‘comunista’ abate di Subiaco. Quindi la fondazione dei Cristiano sociali. Ora – per fortuna l’età non ostacola – di nuovo in cerca…
Tutta la lunga introduzione autobiografica per dire che il “faro”, per tempi e virtù, fu la comunità del Porcellino di Giuseppe Dossetti e di Giuseppe Lazzati (e di Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze che requisì la “Pignone” occupata dai lavoratori contro la chiusura).
Quindi, veder trattare con tanta superficialità e grossolanità, pensieri e opere di figure che hanno contribuito a rifondare il nostro Paese nell’immediato dopoguerra – la commissione d’inchiesta sulla povertà si deve ad Amintore Fanfani – è francamente ributtante. Saccheggiare la storia, le biografie, il pensiero, per ammantarsi di nobiltà. Che squallore. (t. ve.)
ll testo di Luca Molinari in: http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/dossett.htm
info@hinterlandweb.it