di GIULIANO GIRLANDO
OGGETTO: il distorto “trattamento” delle acque solfuree. Effetto principale: la subsidenza. Che fa tremare un intero settore, quello delle cave di travertino. Solo in termini superficiali si può dire che il pronunciamento emesso dal Tar del Lazio (Tribunale amministrativo regionale) si rivolge alla “Saitrav” e al Comune di Guidonia Montecelio, le parti soccombenti, le motivazioni investono in realtà tutto il bacino territoriale dedicato all’estrazione della pietra. Un contenzioso che si è trascinato per decenni, iniziato all’indomani del manifestarsi del fenomeno della subsidenza – i primi “segnali” si avvertirono nel 2003 –, quando, da Villalba a Bagni, tra i comuni di Tivoli e Guidonia Montecelio, dissesti del sottosuolo causarono danneggiamenti a molti edifici, perlopiù abitazioni. E che trova soltanto oggi una risposta certa, quantomeno in termini di attribuzione delle responsabilità. Con la sentenza del Tar numero 02166 pubblicata lo scorso 18 febbraio.
Tutto ha inizio il 5 ottobre del 2011. La “Saitrav-Industria Travertino Romano”, chiede al Comune di Guidonia Montecelio l’autorizzazione “alla proroga ed alla prosecuzione dell’attività estrattiva della cava sita in località Le Fosse, nella parte in cui consente il pompaggio e la dispersione dell’acqua termale”. Autorizzazione accordata: la Giunta del Comune di Guidonia delibera “di procedere al rilascio delle proroghe delle autorizzazioni all’attività estrattiva indipendentemente dall’espressione del parere della Commissione consultiva regionale cave (CRC), decorso il termine di 60 giorni per la sua emissione”.
Il benestare viene impugnato dalla “Acque Albule spa”. In sostanza, il ricorso al Tar dell’azienda termale si fonda sul presupposto che il pompaggio e la dispersione dell’acqua impedisce al lago della Regina di raggiungere il livello ottimale, utile ad alimentare piscine e servizi sanitari. Annosa questione, che già a quel tempo divise gli scienziati chiamati a pronunciarsi sulle cause del dissesto idrogeologico sintetizzato in “subsidenza”. Puntualmente riproposta davanti ai giudici del tribunale amministrativo.
I quali non lasciano spazio a ombre. “Dagli studi scientifici commissionati dalla ricorrente (Acque Albule spa, ndr) – sentenziano – risulta chiaramente che la natura delle acque prelevate per mettere in secco il piano cave e poi disperse hanno le stesse caratteristiche chimiche, lo stesso PH, la stessa quantità di residui rispetto alle acque della sorgente. Dalle relazioni effettuate dal Prof. Paolo Bono, dell’Università La Sapienza di Roma, aventi ad oggetto le indagini idrogeologiche per determinare le cause dei fenomeni di subsidenza e dissesto ambientale, commissionate dalla Regione Lazio nel 2005, risulta che: fino al 2002 il flusso del lago Regina alimentava naturalmente per gravità le piscine di balneazione dello stato termale; successivamente a tale data, con l’inizio delle attività estrattive, la portata del lago è andata via via riducendosi; il maggior impatto sull’equilibrio idrogeologico del territorio deriverebbe proprio dall’attività di estrazione di travertino e ciò è comprovato dal fatto che nei periodi di interruzione dell’attività estrattiva, il livello dell’acqua si innalza, mentre con la ripresa dell’attività estrattiva si abbassa bruscamente”. Uno stringente nesso causa-effetto.
La sentenza del Tar stabilisce quindi l’incompatibilità tra estrazione incontrollata del travertino e sfruttamento termale delle acque. Una relazione approfondita nel 2005 dallo studio di Francesco Nolasco, dirigente del dipartimento geologico della Regione Lazio, che attestava la reciproca responsabilità delle cave e dell’azienda termale nella riduzione del livello delle acque della sorgente. E che i giudici ulteriormente certificano: se la falda è dissestata il liquido si disperde nel sottosuolo e non raggiunge, come avvenuto per secoli, il lago della Regina.
Fu quello stesso geologo a mettere sotto accusa la profondità raggiunta per l’estrazione. Più si accentua la penetrazione nel terreno più acqua affiora ed è necessario estrarre. Una scelta delle aziende stigmatizzata dei giudici. I quali, nelle motivazioni della sentenza, ribadiscono che: “La Regione Lazio ha adottato linee direttrici volte a limitare l’attività di pompaggio da parte delle cave, prescrivendo che la profondità massima di scavo non possa superare 12 metri dal piano di campagna, recependo così un indirizzo fornito dalla Direzione regionale attività produttive, organo competente in materia di concessioni minerarie”. Precisando che “il Comune (di Guidonia Montecelio, ndr) invece ha ritenuto – irragionevolmente – le direttive regionali per le garanzie dai fenomeni di subsidenza solo per le nuove autorizzazioni e non per le proroghe”.
Una sentenza che mette in discussione il “sistema cave” visto che tutti i riferimenti presi in esame dai magistrati amministrativi sono in essere per la generalità delle componenti del bacino estrattivo. Una causa persa non soltanto dalla “Saitrav” o dall’omissivo Comune di Guidonia Montecelio, ma dai protagonisti del prescelto modello produttivo. E’ tempo di cambiare.
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