(t. ve.) DONNA. Ovvero della differenza. Allora, tutti insieme – ideologie, partiti, istituzione –, cosa si fa di una organizzazione che su una inammissibile, inaccettabile “Differenza donna”, fonda il motivo della propria costituzione? Semplice, va liquidata. Che, per congettura, la storia è colma di esempi, potrebbe anche starci. Rispettando la forma e le regole, approfondendo i motivi dell’eventuale contrasto. Che però potrebbero inficiare l’assunto (per dire: se i trattati internazionali vietano la contiguità tra disagio psichico e vittime di violenza qual è la soluzione?). Meglio allora ricercare supporti alle preventivate modalità dell’agire. Come insegna la “politica” si ricorre al succedaneo dell’addebito di colpe non vere, si lasciano cadere qui e là scampoli di maldicenza, tutto diventa utile per sentenziare la condanna.
Emessa a carico del centro antiviolenza “Le Lune”. Che non ha voluto accettare di trasferire l’attività all’interno del residuo spazio dell’Italian hospital group (Ihg) destinato alla malattia mentale. Motivo: “… perché contrario alle finalità politiche di un Centro Antiviolenza. Trasferire il centro antiviolenza in una struttura dedicata esclusivamente al trattamento di disturbi e patologie di natura psichiatrica viola i principi contenuti negli atti internazionali in materia di violenza contro le donne nonché la Convenzione di Istanbul e tutte le linee guida elaborate e diffuse dagli enti locali, regionali, nazionali in materia di prevenzione e contrasto della violenza di genere. La violenza maschile contro le donne trova le sue radici in una cultura patologicamente contraria alla libertà delle donne e nulla ha a che vedere con la patologia psichiatrica.
“Inoltre i locali indicati dal Comune non garantiscono gli standard di riservatezza e tutela dell’incolumità personale delle donne vi si rivolgono: queste ultime sono esposte a gravi forme di vittimizzazione secondaria, al pericolo per la loro incolumità psicofisica e di stigmatizzazione sociale che ostacolano, fino a impedire del tutto, un efficace progetto individuale di uscita dalla situazione di violenza, alimentando stereotipi discriminatori nei loro confronti e di conseguenza pregiudicando la riuscita dei percorsi sociali e giudiziari intrapresi. I locali individuati dall’amministrazione sono inoltre del tutto inadeguati alle esigenze specifiche dei minori che il Centro pure accoglie per gravi violenze patite”.
Si diceva delle accuse di colpa e della sentenza. Il surrogato è verbalizzato dal Comune di Guidonia Montecelio l’1 febbraio: “Come emerge dal verbale della riunione protocollo 9197 del 01.02.2016, le Presidenti delle tre Associazioni dell’ATI, effettuata la lettura dello schema di disciplinare dichiarano di non voler procedere alla firma rinunciando arbitrariamente all’incarico in oggetto. Tale rinuncia non giustificata ha cagionato l’interruzione del servizio; risulta necessario pertanto procedere ad individuazione di un nuovo gestore per garantire il servizio di utilità sociale per il territorio”. In sostanza, avete “rinunciato”, quindi vi sostituiamo. La soluzione è a portata di mano, forse ancora più prossima. Salvo non emetta una sentenza un giudice “vero”.