di TOMMASO VERGA
LA PREMESSA va dedicata a un funzionario dello Stato che ha svolto il suo compito. Se qualcuno volesse obiettare che ciò non rappresenta un pregio, i tempi che corrono danno tutte le risposte; invece se domanda su quale motivo si basa il riconoscimento, non deve far altro che seguire il racconto. Che inizia proprio quando Giorgio Palandri, architetto, responsabile della direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Lazio, pronuncia il “non si può fare” (non entusiasticamente accolto da determinati ambienti, compresi quelli cittadini). Rovesciando i tavoli che, sino a quella data – ferragosto del 2015 – avevano concordemente permesso al “gruppo Cerroni” di proseguire nella realizzazione dell’impianto per il trattamento dei rifiuti all’Inviolata.
Il 25 agosto 2015 su hinterland si leggeva: le “modifiche apportate dal gestore del Tmb – compresa la rinuncia alla costruzione di un secondo capannone – non sono apparse soddisfacenti al ministero, il quale obietta che ‘la mera riduzione dell’area interessata derivante dal restringimento dell’attività dell’impianto a distanza di 100 metri dai rinvenimenti archeologici, se potrà recare un parziale beneficio per la ridotta interferenza fisica dell’impianto sul bene medesimo, poco potrà valere sotto il profilo del pesante impatto che la presenza dell’impianto con l’attività correlata determinerà sull’area in esame’. Osservazione respinta. Se ne riparlerà nella conferenza dei servizi dell’agosto 2020 nella quale si procederà ’all’acquisizione anche del parere della Soprintendenza, pur in assenza di interferenza con le aree vincolate al fine di acquisirne eventuali prescrizioni e indicazioni’”. L’articolo proseguiva ma il periodo che interessa è tutto qui.
Legenda: per ministero deve intendersi il Mibact, rappresentato dalle Sovrintendenze ai beni culturali e paesaggistici; “osservazione respinta” dalla Regione Lazio, al pari di quel rinvio ad agosto 2020 – sicuramente previsto da qualche legge o regolamento, ma che nella circostanza rischiava di apparire derisorio – allorché “si procederà ’all’acquisizione anche del parere della Soprintendenza, pur in assenza di interferenza con le aree vincolate al fine di acquisirne eventuali prescrizioni e indicazioni’”.
Ecco: il “parere”, unico e vero oggetto misterioso. Un nulla-osta dalla Pisana mai richiesto alla direzione regionale per i beni Culturali e paesaggistici del Lazio. Organismo assente quindi nella iniziale conferenza dei servizi sull’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) conclusa con il primo benestare alla costruzione dell’impianto. Si era nel 2010. Periodo strettamente coincidente con l’inchiesta avviata un anno prima, condotta dai carabinieri del Noe di Roma agli ordini del colonnello Ultimo e del capitano Pietro Rajola Pescarini. Dal 2012 trasferita per competenza dal Tribunale di Velletri a quello capitolino, temporaneamente conclusa a gennaio d’un anno fa dall’ordinanza di custodia cautelare dell’”ottavo re di Roma” – come dalla pubblicistica veniva definito Manlio Cerroni, poi spodestato nella carica da Massimo Carminati – e di altre sei persone. Tra le quali, i funzionari regionali Raniero De Filippis e Luca Fegatelli, a capo della direzione regionale energia e rifiuti fino al 2010. Secondo gli inquirenti, l’uomo chiave della strategia “cerroniana” in Regione.
Quindi non peregrina la domanda se in un faldone di piazzale Clodio abbia trovato posto il “fascicolo Inviolata”; e se e quando sarà possibile conoscere se la discarica di Guidonia Montecelio aveva un ruolo nel “sistema” che regolamentava la politica dei rifiuti laziale. Un approfondimento indispensabile, risposta all’interrogativo sul congegno periodo-effetti-sull’Inviolata e quindi sulle ragioni dell’omissione: come e chi ha deciso di non acquisire il parere della Sovrintendenza obbligatoriamente previsto dalla legge? Un secondo interesse riguarda le modalità del “sostegno” venuto da Guidonia Montecelio al padrone del Tmb, attraverso Paolo Morelli, segretario della Margherita, venditore dei 39 ettari di Parco dell’Inviolata – ancora di proprietà di Carlo Filippo Todini? – a Manlio Cerroni.
Comunque, allo stato, da un lato, il Tmb è stato costruito ed è in condizioni di funzionare. Dall’altro, non può. A causa proprio di quel “parere” mancato, motivo fondamentale che – sommati gli esiti giudiziari, ad ogni livello, per le persone e per le cose – non stupirebbe se significasse l’abbattimento dell’impianto e il ripristino dei luoghi, come sempre richiesto dal Cra (Comitato di risanamento ambientale), l’associazione di cittadini più “ferocemente” avversa ai protagonisti degli avvenimenti descritti.
Il 7 aprile scorso la guardia forestale ha di nuovo sequestrato l’area del Tmb. In attesa delle motivazioni dell’ordinanza propedeutica all’azione repressiva, può servire la conoscenza di quelle che hanno convinto la Corte di cassazione ad accettare il ricorso contro la sentenza del riesame favorevole a Francesco Zadotti e Isabella Stolfi (amministratrice della Edil Moter srl) e relativa al precedente sequestro preventivo disposto il 30 luglio 2014 dal gip del tribunale di Tivoli dell’area di “proprietà della Colari Ambiente Guidonia srl”, sulla quale l’Edil Moter stava realizzando il Tmb, “modificando l’originario assetto dei luoghi, sottoposti a vincolo paesaggistico in difetto di valido titolo abilitativo”.
Perché, la Cassazione, accogliendo le affermazioni del gip di Tivoli, ha ritenuto proprio il mancato “parere” motivo sostanziale della ribadita conferma del provvedimento restrittivo.
Il dettaglio. In sede di riesame, il 4 marzo 2015, era prevalsa la tesi difensiva: la “diatriba” tra Sovrintendenza e Regione non poteva riguardare le aziende che avevano “incolpevolmente fatto affidamento sulla legittimità del provvedimento abilitativo, emesso dalla Regione, la cui illegittimità non appariva, ad avviso del decidente, di immediata evidenza, trattandosi di un profilo attinente all’iter amministrativo autorizzatorio, non facilmente conoscibile da parte dei soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione, così da escludere l’elemento soggettivo dei reati ipotizzati”. Dunque, gli imputati erano in buona fede. Tesi corroborata dal funzionario referente del ministero dei Beni culturali per il Lazio, Stefania Panella, e accolta dal tribunale del riesame che “disponeva la restituzione dei beni sequestrati”.
Escluso, ha ribattuto la Corte. Perché il riesame non può valutare approfonditamente nel merito l’elemento soggettivo del reato (consapevolezza della illegittimità del provvedimento autorizzativo), mentre detta illegittimità sarebbe da considerare manifesta per soggetti pratici del settore. Discendenti le motivazioni. Intanto, l’osservazione di Stefania Panella davanti al riesame è “da ritenere del tutto inidonea a produrre effetti giuridici esterni, in quanto proveniente da ente che non dispone del potere di autorizzare i lavori in questione e da intendere come mero parere favorevole endoprocedimentale sul progetto, su cui la Direzione Regionale dei BB.CC.PP. doveva fondare il proprio parere finale.
“Sennonché, nonostante la protocollazione, in data 19/8/2009, della nota a firma del funzionario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Stefania Panella, la Regione Lazio non ha mai invitato alle diverse sedute della conferenza di servizi la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, unico organo deputato ad emettere il parere finale.
“Conseguentemente, non si vede come tale macroscopica omissione possa essere incolpevolmente sfuggita agli indagati, soggetti, peraltro, particolarmente qualificati, in quanto da tempo operanti sul territorio nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani e, in particolare, nella realizzazione e gestione di impianti e discariche, con specifica preparazione in materia edilizia e di tutela dell’ambiente e del paesaggio”.
Si conclude accogliendo il ricorso avanzato dal tribunale di Tivoli. Per il quale al rilascio di “una autorizzazione integrata ambientale con lo strumento della conferenza dei servizi necessita la partecipazione del soprintendente o, comunque, che pervenga il preventivo parere scritto di quest’ultimo”.
Infine, “questo Collegio, quindi, ritiene di dovere annullare senza rinvio il provvedimento gravato; annullamento che determina il ripristino della misura cautelare reale, geneticamente applicata”.
Ciò detto e descritto, la vicenda “tmb-Inviolata” si arricchisce di un addendo ulteriore, l’indiscutibile proprietà transitiva tra un fatto e l’altro, sancita dalla Corte di cassazione. E che non sia un “parere” è dimostrato dal nuovo sequestro dell’impianto.