di TOMMASO VERGA

Nessuna confusione: una giornata di ordinaria vivibilità sulla via Tiburtina

Nessuna confusione: una giornata di ordinaria vivibilità sulla via Tiburtina, alla periferia di Tivoli

A TIVOLI-CITTA’, l’affermazione “senza ulteriore consumo di suolo” è talmente condivisa da non lasciare quasi traccia. Perché risiede nella consapevolezza generale l’interrogativo “quale suolo?”. Ovunque, nella pratica, la questione si pone – l’esempio esemplare è Guidonia Montecelio – per contrastare le mire dei “palazzinari”. Che però, nel caso, guardano altrove, considerando Tivoli un campo di battaglie superate e vinte. Infatti la città non ha più suolo disponibile. Tolti residui, limitati ettari distribuiti qui e là, avanzi di una strategia che, mercé – more solito – le “varianti”, ha lasciato solo scampoli, “lotti interclusi” (improprio nel codice della letteratura urbanistica, ma utile all’illustrazione) neppure utilizzabili.

Diverso se Tivoli scegliesse di disfarsi, distribuendole, delle funzioni improprie, per virtù di campanile indistintamente ammassate nell’invivibile ormai centro cittadino, per consentire di liberare spazi indirizzati all’accoglienza dei turisti e per “ricucire” i rapporti con la periferia. I governanti tiburtini, autoinvestiti del titolo di difensori supremi, hanno sempre ostacolato il trasferimento dell’ospedale in pianura, impedendo che l’edificio esistente venisse riconvertito in un “centro direzionale” atto a ospitare attività pubbliche e private. Altrettanto assurda la dislocazione del palazzo di giustizia. La distinzione tra servizi territoriali e servizi cittadini è sempre stata vissuta come un oltraggio e una spoliazione. E da Palazzo San Bernardino nessun “capitano cuor di leone” ha mai spiegato ai cittadini che Tivoli ne avrebbe invece tratto (e ne trarrebbe) grande beneficio.

ALCUNI “NODI” PRELIMINARI. Il capitolo sugli spazi va approfondito quando si volge lo sguardo alla pianura. Per sintesi, insieme a Guidonia Montecelio, all’area del parco termale (già costato 750 mila euro soltanto di studi). All’altra, idem ma opposto confine, dei 60 ettari della piattaforma logistica limitrofi alle terme. Alla terza, tra Colle Cesarano e il Barco, dall’Aniene in direzione via Prenestina. Infine, a quella costituita dai terreni di proprietà pubblica di Albuccione, nello specifico cosa fare dei 175 ettari ancora liberi distribuiti tra Tivoli e Guidonia Montecelio (per i rimanenti, intestati alle “cooperative” – dividendo quelle ‘sanate’ dalla legge Gullo all’indomani dell’occupazione delle terre, dalle altre, ‘case di campagna’ –, è urgente che la Asl Rm5 ne concluda l’alienazione, mentre ai due enti locali il compito di intervenire con una qualche forma di controllo, che quantomeno sanzioni l’abituale hobby quotidiano dell’abusivismo edilizio).

Si dirà che la sede appropriata per approfondire l’argomento non è quella delle “linee guida” messe in evidenza sul sito del Comune di Tivoli e già illustrate dall’assessore Ruggero Martines in due incontri a Tivoli Terme e a Villa Adriana, ma sarebbe un errore sottovalutare che si indicano destinazioni urbanistiche consolidate, definite da decenni, scelte-cardine che intendevano disegnare la prospettiva d’insieme del comprensorio tiburtino nel medio-lungo termine. Quindi appare non superfluo sin d’ora un “segnale forte” che preceda le scelte definitive. Non sottovalutando che si tratta di ambiti nel frattempo investiti da radicali mutamenti.

L'assessore Ruggero Martines

L’assessore Ruggero Martines

Iniziando dal Parco metropolitano termale, previsto dal Piano territoriale provinciale generale, dal Programma degli interventi per Roma capitale e dal Pruust dell’Asse tiburtino “Fata Viam Invenient”, che costituisce – in termini di crescita, d’economia e d’occupazione – la sola alternativa alla crisi del travertino, ma che subisce la controindicazione degli sconvolgimenti intervenuti nel sottosuolo. Territori devastati dalla subsidenza il cui risanamento è costato 40 milioni euro agli abitanti del Lazio (chissà qual è il motivo per cui il ripristino dell’agibilità delle abitazioni di Bagni, Villalba e Bivio di Guidonia – abbandonato strada facendo, neppure portato a compimento – è ricaduto sul bilancio pubblico mentre Francesco Nolasco, al vertice del Servizio geologico regionale, incolpava del dissesto gli emungimenti delle cave di travertino e delle Acque Albule). Quindi, ciò considerato, è possibile chiedere agli studiosi se c’è il modo per tornare a imbrigliare le acque, la materia prima per alimentare il parco termale? Intanto però, sarebbe utile esaminare gli elaborati custoditi presso la Città metropolitana, per definire una strategia che porti a definire il piano, in senso positivo o contrario.

Al fallimento dell'”Interporto Roma Est” è seguito l’avvento di una nuova proprietà. Con due accadimenti relativamente recenti in aggiunta. Da una decina di giorni è fallita la società costituita per la costruzione dell’interporto di Civitavecchia. A parte ogni altra considerazione, il fatto irrobustisce considerevolmente il Centro intermodale (in divenire) di Fara Sabina – un vero attentato all’ambiente della Valle del Tevere –, ancor più dopo l’annuncio di “Amazon” di volervi risiedere. Problemi? Per ragioni di dislocazione territoriale essenzialmente: a rotaia ignota, il movimento-merci utilizzerà il sistema viario esistente (previsti 700 Tir al giorno), il che non depone a favore del soddisfacimento delle necessità d’una capitale priva di un servizio di deposito, trasporto, distribuzione e rilavorazione fine linea. Di conseguenza la domanda: la destinazione urbanistica della piattaforma logistica sui 60 ettari dell’ex polverificio ‘Stacchini’ – con le limitrofe superfici utilizzate da decenni da multinazionali del settore – rimarrà tale anche con i nuovi proprietari?

Luigi Petroselli

Luigi Petroselli

“MIGLIORARE I COLLEGAMENTI CON ROMA”? Dopo lo screening delle aree l’esame dell’altra opzione di fondo. Quella effettivamente di “piano”. Come si legge, nel depliant depositato sul sito del Comune, necessita “ai cittadini un pendolarismo in tempi congrui”, con “il potenziamento del trasporto pubblico da e verso Roma”. Non facendo caso al probabile avvio della metro il prossimo anno e al (quando…) raddoppio della Tiburtina, si intende sottoporre a lifting la peggiore delle involuzioni che hanno smisuratamente depauperato le potenzialità delle città della “prima cintura” e arrecato danni forse ormai irreparabili alle condizioni di vita degli stessi residenti nella capitale. Mentre, per essere chiari, un progetto che ambisce a modificare il contesto per adeguarlo ai tempi che corrono, che vuole rispondere ai bisogni dei suoi referenti, deve porsi il proposito opposto e contrario: come ridurre la centralità di Roma.

Si possono modificare i rapporti tra la capitale il suo hinterland? Realizzare un sistema territoriale non di risulta – com’è oggi la provincia – nel quale alberghino occupazione e insieme eccellenze dedicate all’istruzione e alla cultura, alla ricerca, al servizio sanitario, alla soddisfazione della domanda di tempo libero? Come invertire il flusso quotidiano da/per Roma di circa 300.000 persone, obbligatoriamente mobilitate per prestazioni che offre esclusivamente la metropoli? Naturalmente, con alcune distinzioni. Tutto il litorale, da Civitavecchia alla ex Cassa per il Mezzogiorno, non equivale, qualitativamente né numericamente, al nordest e ai Castelli.

RUTELLI, VELTRONI E MORASSUT ROVESCIANO IL TAVOLO. Utopia? Legittimo pensarlo. Vietato quando ci si ammanta di titoli di governo. Perché la responsabilità sull’odierno stato delle cose non è soltanto (addirittura nemmeno principalmente) del Campidoglio, ma di tutti quei sindaci, consiglieri comunali, partiti, che hanno dimenticato le ragioni della loro stessa esistenza. Permettendo che le relazioni nella città metropolitana si ossidassero in “Roma ha bisogno di…”. Sintesi schematica che trova sanzione nel Piano regolatore dei sindaci Veltroni e Rutelli, assessore Roberto Morassut. Un timbro di ceralacca. L’urbanistica contrattata, le centralità, l’occupazione delle “terre di mezzo”, che a nordest ha significato milioni di metri cubi di cemento tra Bufalotta e Ponte di Nona-Casilina con centinaia di migliaia di nuovi residenti a dividersi quel che (non) c’era quanto a vivibilità e servizi. Dei quali, neppure l’ombra d’un adeguamento. Si parla, mai come in questo momento, di “periferia”. Per gran parte di quella capitolina – la prima e la seconda – c’è penuria di francesi ma non di banlieue.

Eppure non sempre è stato così. In termini politico-strategici, il recente Prg romano ha costituito innanzitutto il capovolgimento d’un’analisi e d’una tendenza. Infatti, in un passato non lontanissimo, proprio il riformismo comunista si intestò la scelta di riequilibrare le differenze tra centro e periferia.

Giorgio Fregosi

Giorgio Fregosi

LA “TAM” (TANGENZIALE ASSIALE METROPOLITANA). I governanti della Provincia di Roma di un tempo andato, Giorgio Fregosi (il presidente, morto per un infarto a Palazzo Valentini il 7 giugno del ’98), Maria Antonietta Sartori, individuarono la Tam (tangenziale assiale metropolitana), un raccordo anulare parallelo al Gra, da mare a mare, che univa arterie viarie già disponibili tra Civitavecchia e Gaeta, per capovolgere – proprio così: “capovolgere” si intendeva – la direzionalità romana a vantaggio delle aree interne. Utopisti anche loro? Come pure Luigi Petroselli, il sindaco sostenitore del decentramento delle funzioni della capitale? Tutti sostenevano, giustamente, che nessuno aveva deciso – salvo i signori delle rendite, fondiaria, speculativa e di posizione – che quotidianamente migliaia di persone dovessero perdere ore e ore della loro esistenza a favore della città “radiocentrica”. Mai chiarito il perché la Tam sia finita su un binario morto. Sarebbe interesse di tutti se i testimoni dell’epoca rispolverassero il tema rivisitandone l’opportunità. Perché quel “miraggio” risulta ancora la vera e sola oasi in un deserto di idee e di prospettive. Ma gonfio di parole.

Maria Antonietta Sartoti

Maria Antonietta Sartori

LA “TERZA PERIFERIA”. Un “tumore”, quello del disequilibrio, che richiede terapie anche su aspetti non completamenti evidenziati. Il comprensorio tiburtino, essendo di fatto una sorta di “città metropolitana” in termini di risorse e di servizi, è “obbligato” a rispondere ai bisogni che si formano a causa dello stato della “terza periferia” – la Sabina interna, il Giovenzano, i trenta paesi della X Comunità montana qualificati ufficialmente a “rischio estinzione” –, che si rivolge a chiunque ritenga possa lenire il disagio. Una dimostrazione: quanto costa alla ‘città Tivoli-Guidonia’ l’accesso all’istruzione di giovani provenienti da altrove? Non si parla soltanto di costi di gestione ma, ad esempio, di affollamento delle aule, problema che avvilisce e svaluta inevitabilmente la qualità dell’insegnamento.

Il depliant che contiene le “linee guida” invita alla partecipazione i cittadini organizzati. Un blog, per sua natura invadente, non lo è. Quindi, giunti al fin della licenza, solo qualche schematica domanda (non esclusa la tentazione di tornarci su):

1) un sistema territoriale come quello che s’è definitivamente consolidato nella periferia e che fa perno sulla statale Tiburtina, può essere regolamentato dalle scelte di un Comune o non è invece necessario un “concerto” che individui i termini di un accordo per una riqualificazione ‘estesa’?

2) il sistema territoriale Tivoli-Guidonia è sede di due distretti industriali definiti dalla Regione Lazio, travertino e aerospazio: come intendono gli enti locali dare impulso alle potenzialità insite in questa scelta, anche, se non soprattutto, sotto il profilo della ricerca?