di ELISABETTA ANIBALLI
e TOMMASO VERGA
NESSUNA CONCESSIONE a un ambiente “romantico”, in passato anche giudiziario, che si vuole tratteggiare ancora “di paese”, “incline alle suggestioni del sentimento e della fantasia”, nel quale le liti riguardano il vicino confinante con la proprietà, i cani che abbaiano di notte, la scazzottata tra ubriachi, l’incidente stradale. Siamo ben oltre. Lo spaccio di droga, l’organizzazione criminale, le armi, fino al “modello di governo” di città nel quale un deciso risalto è assegnato alla corruzione nella pubblica amministrazione, all’omertà, ai reati ambientali.
A otto mesi dall’insediamento, sono i capitoli resi espliciti nella relazione che inaugura il corrente anno giudiziario da Francesco Menditto, il capo della procura della Repubblica di Tivoli, un periodo che proprio perché breve preoccupa oltremodo. Ci si chiede cosa scoverà nelle pieghe della giurisdizione di competenza quando si sarà impadronito della “macchina” (a una non più rinviabile condizione: la soddisfazione delle richieste relative al personale e agli strumenti degli uffici giudiziari). A leggere, quelle pagine non appaiono interessate a creare allarmismi, semmai il contrario: valutato quel che risulta, si coglie la necessità – l’obbligo è più adeguato – di un innalzamento dell’attenzione e del livello di guardia nella società da parte delle organizzazioni deputate a presiederla. Corroborata da una diffusa “campagna per l’educazione alla legalità” che coinvolga gli studenti e le scuole.
Nel dettaglio – le tabelle e i numeri sono disponibili nella relazione sul sito della Procura di Tivoli –, preoccupa la mole di casi relativi ad aggressioni consumate ai danni di inermi cittadini, “spesso in età avanzata”, commessi “principalmente da giovani stranieri che gravitano nelle zone di competenza appoggiandosi in alloggi di fortuna con scopi esclusivamente di natura predatoria, poi trasmodati in gravi atti violenti contro la persona”; alcuni omicidi denotano una modalità particolarmente efferata, commessi con “armi illegalmente detenute” e maturano “in gravi contesti”, dove è diffusa “la presenza di una criminalità feroce”. Plurimi i procedimenti con applicazioni di misure cautelari personali e sequestri di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
Una osservazione “dolente” del procuratore è dedicata ai delitti contro la pubblica amministrazione, sostenuti, anche nella fase della repressione, da un consolidato clima di omertà. Il riferimento specifico interessa i reati di peculato, corruzione e concussione ma soprattutto violazioni alle norme urbanistiche o ambientali. Non gioca a favore dell’azione giudiziaria la consapevolezza che, a seguito della riforma di cui alla legge n. 190 del 2012, è “punibile anche il soggetto che venga indotto alla dazione di somme di denaro”. Il che rende “poco agevole l’acquisizione di elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio”.
Ed ora “la notizia” (una “scoperta” per chi ha trattato le plurime operazioni recenti alla stregua di episodi di cronaca nera e non in quanto volte a reprimere una articolata e organizzata trama criminosa): il procuratore capo evidenzia i procedimenti relativi ad associazioni per delinquere riconducibili alla presenza nel territorio di famiglie affiliate a clan ‘ndranghetisti, camorristi e di Cosa nostra. Direttamente conseguente il riscontro dell’utilizzo sempre maggiore di armi da guerra per commettere rapine e più in generale perpetrare attività criminali, dunque fucili e pistole automatiche, mitragliette, kalashnikov.
Francesco Menditto parla di “diffusa e feroce” criminalità del territorio che emerge anche dai plurimi “sequestri di armi clandestine e da guerra”, così come va sottolineata “la presenza e disponibilità sul territorio di veri e propri depositi clandestini a disposizione della criminalità più varia per il compimento di successivi gravi illeciti”.
Le misure di contrasto: “E’ costituito, presso la Procura di Tivoli, un Gruppo Criminalità organizzata, perché ‘dalle attività investigative e di monitoraggio del territorio relative alla criminalità viene registrata la presenza di alcuni soggetti inquisiti per fatti di mafia od appartenenti ad organizzazioni di considerevole capacità criminale (famiglie camorristiche e ‘ndranghetiste o di provenienza siciliana), dimoranti o residenti nel territorio del circondario anche a seguito a misure di prevenzione (verosimilmente il soggiorno obbligato, ndr). Gran parte di tali attività hanno caratteristiche di invisibilità: l’indagine in tali casi non proviene da un reato già individuato ma origina dalla investigazione relativa ad elementi sintomatici dell’attività e della presenza di gruppi ed elementi criminali. Va pertanto costituito un gruppo che si occupi dei reati di criminalità organizzata di maggior rilievo che siano sintomatici di elevata capacità criminale e di infiltrazioni nel territorio anche di tipo economico. Al gruppo va attribuita la competenza sul reato di associazione per delinquere finalizzata ai delitti commessi con minaccia o violenza’”.
La relazione conferma che in questi anni una criminalità sempre più organizzata su parametri di crudeltà ed efferatezza (che ricorda l’operato della banda della Magliana in combutta con la camorra di Raffaele Cutolo nella Roma del deposito d’armi negli scantinati del ministero della Salute), ha trasformato il territorio (anche) dell’asse tiburtino in una “cambusa” a disposizione, evidentemente, di clan e delinquenti comuni, una piattaforma strategica e criminale per l’intera provincia, la capitale, la regione Lazio. A correlazione e sostegno, in controtendenza rispetto ad altri tipi di reati (ad esempio quelli contro il patrimonio), la Procura rileva un incremento consistente del numero delle “estorsioni e delle usure”, probabilmente, è la valutazione degli inquirenti, “espressione di ambienti criminali più difficili da colpire”. Un quadro desolante e drammatico. Il link della relazione:
http://www.procura.tivoli.giustizia.it/documenti.aspx?id_gruppo=434