di TOMMASO VERGA
UNA VOLTA ERA consuetudine: “Buongiorno, sono il rappresentante…” di una società di aspirapolvere, di una enciclopedia, di un… eccetera. Da tempo non più, nemmeno i propagandisti di una nota marca di religione provvedono alla sveglia mattutina, il “porta a porta” in disuso, superato dalle regole del merchandising.
Un’anomalia organizzativa quindi i contratti stipulati dai Comuni di Guidonia Montecelio e Fonte nuova con l’“Anyacquae srl”. Si presenta tal Luca Mori e diparte con in tasca contratti per la fornitura di un servizio che i due municipi non hanno richiesto. Valore, almeno per il primo, 22.680 euro, durata 15 anni. Tutto ciò in ragione dell’”Adesione al progetto ‘Case dell’Acqua’ per il servizio di fornitura, installazione, manutenzione di due strutture per l’erogazione di acqua depurata, gassata e non, da fontane pubbliche”, e al successivo (di un giorno) “Baby Gluck”, per le scuole, come recita la causale della determinazione.
Come già illustrato, Luca Mori è in realtà Felice Maniero (oggi uomo libero), il boss della “mala del Brenta”, l’uno e l’altra tornati d’attualità in questi giorni. Maniero per aver denunciato l’ex cognato e un promotore finanziario un paio di settimane fa; Silvano Maritan, uno dei principali esponenti della banda, per la pubblicazione di un libro di memorie.
Dell’”associazione a delinquere di stampo mafioso” (sentenza della corte d’assise di Venezia del luglio 1994) definitivamente sgominata nel 2004 rimaneva solo un appunto nella memoria e un fascicolo nell’archivio. Due i processi. L’inchiesta dei pm Antonio Fojadelli e Michele della Costa – intervallata da lunghissime sospensioni – si conclude nel 1994 con 79 condanne. E’ la prima sentenza. La partita si perfeziona nel mese di agosto del 2004 mettendo a nudo 20 anni di scorrerie tra Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. E’ l’”operazione Rialto” a completare il quadro. A Venezia, il sostituto procuratore Paola Mossa chiede il rinvio a giudizio per 142 affiliati. Oltre 300 capi di imputazione. I principali: associazione a delinquere, traffico di droga, rapine, sequestri di persona, detenzione di armi, riciclaggio. L’8 novembre del 2005 l’udienza preliminare. Decisivo il contributo del “pentito” Felice Maniero, 17 omicidi, sconterà 33 anni di detenzione a partire dal 1980, seppure “a puntate” segnate dalle numerose evasioni (Fossombrone 1987, Portogruaro 1989, Padova 1994).
A metà dello scorso gennaio, “faccia d’angelo” – come lo ribattezzarono i cronisti di “nera” – torna agli onori della cronaca perché accusa l’ex marito della sorella e il businessman di avergli sottratto i “risparmi”, un tesoro di 17 milioni di euro. E’ lo stesso Maniero a specificare agli inquirenti quali e dove sono i beni acquistati con il suo denaro. In Toscana immobili essenzialmente. Ville, 27 macchine di lusso tra cui una Bentley Gt Cabrio, conti correnti intestati a prestanome, polizze assicurative, depositi, titoli, cassette di sicurezza e fondi pensione. Un patrimonio rintracciato e sequestrato dai pm di Venezia Paola Tonini e Giovanni Zorzi.
Se il boss abbia o meno detto tutto resta in capo agli investigatori. Perché, come in ogni “giallo” che si rispetti, c’è il “lato oscuro” della vicenda, i capitali in Svizzera. «So che i soldi della nostra banda arrivarono in Svizzera grazie a importanti coperture istituzionali di cui Maniero godeva» afferma Silvano Maritan. Ancora: «L’ultima volta fui io stesso ad accompagnarlo al confine. Lui prese un treno per Lugano e aveva 3 miliardi di lire con sé. Il giorno dopo lo arrestarono. Ma era tutto organizzato e lui era d’accordo. Insomma, prima di stringergli le manette ai polsi, lo Stato gli aveva consentito di mettere il bottino al sicuro”.
Voglia di vendicarsi – Maniero vive da nababbo, io muoio di fame il filo conduttore –, l’autore delle rivelazioni era il “presidente”, il più fidato tra i luogotenenti di Felice Maniero. 25 anni di carcere iniziati nel 1991, uscito a marzo 2016 per scontare il periodo rimanente in una casa famiglia di Feltre, Maritan è stato arrestato nuovamente due mesi fa, il 16 novembre a San Donà di Piave, per l’omicidio del “rivale in amore”, il compagno della sua ex, la quale, a sua volta, a suo dire, s’era rifiutata di restituirgli 8mila euro avuti in prestito.
Non solo di soldi in Svizzera parla il pluripregiudicato, ma anche di “coperture istituzionali” a favore del boss. C’è un particolare inesplorato nella vicenda dei “contratti per l’acqua” a Guidonia Montecelio e a Fonte Nuova: nelle sembianze di rappresentante “porta a porta” come è stato possibile fare affari con i due Comuni? Interrogativo irrisolto. Perché, falsa identità a parte (i documenti intestati a Luca Mori, il fatto che per Guidonia il patto rechi la firma del dirigente dei Lavori pubblici e non del Patrimonio, dell’Ambiente, dell’Istruzione, unita al fatto di aver ottenuto seduta stante il benestare all’installo dei distributori di acqua nelle scuole (le cassette) è abbastanza singolare. Comunque, oltre ai dubbi sulla competenza, procedura ineccepibile. Mentre, aldilà della forma, l’impressione è che tutto fosse preordinato. Una sorta di “facimm‘ ammuina”. C’è qualcuno che ha predisposto il “copione”?
C’è un altro fatto di cronaca che riporta a strettissima attualità la riemersione della “mala del Brenta”. Ma di secondario interesse ai fini della specifica narrazione. Due giorni fa, vengono arrestate quattro persone con l’accusa di traffico di armi, una delle specializzazioni professionali della “mala del Brenta”. Si tratta, precisano le agenzie, di tre italiani – compresi due coniugi di San Giorgio a Cremano, Napoli – e di un libico che avrebbero introdotto, tra il 2011 e il 2015, in paesi soggetti ad embargo quali Iran e Libia, elicotteri, fucili di assalto e missili terra aria. Nel commercio, anche un socio della banda criminale, che avrebbe fatto da tramite tra un clan dei casalesi e i quattro. Come direbbe Stephen King “alle volte ritornano”. In Italia un po’ più di frequente.