A TRE SETTIMANE dall’arresto, Mario Dionisi è rientrato a casa. A differenza di Maurizio Ferraresi e Claudio Cascarino, i funzionari della Asl Rm1 con lui detenuti dal 15 marzo. Inalterata l’accusa a carico dei tre: corruzione. La decisione è del Tribunale del riesame, dovuta all’esito dell’interrogatorio degli indagati.
Il diverso trattamento si deve al fatto che Dionisi ha ammesso gli addebiti che hanno portato al provvedimento giudiziario, ha confessato. Esponendo le “modalità procedurali” (desolanti) del sistema. Oggetto dell’indagine condotta dal sostituto procuratore Paolo Ielo e dal pm Corrado Fasanelli, la formazione dell’elenco dei laboratori d’analisi convenzionati con il servizio sanitario che svolgono esami comprovanti l’idoneità di coloro che richiedono la restituzione della patente di guida in conseguenza del ritiro a causa di alcool, droga e simili. Vengono poi i consigli alla “clientela” indirizzata, secondo l’accusa, dai due dirigenti della Asl. Interessata la “Diagnostica medica”, srl dell’imprenditore di Guidonia Montecelio.
Per queste ragioni – la ricostruzione di Mario Dionisi al gip Massimo Di Lauro –, “Ferraresi mi chiese il 20/30 per cento del fatturato”. Troppo, non se ne parla. “5mila euro al mese” è la disponibilità. Il funzionario non batte ciglio. “Che direttamente gli corrispondevo in contanti” dettaglia l’interrogato. Ammettendo quindi l’esistenza di una provvista “in nero” ignota ai bilanci della srl ma soprattutto contraria alle normativa sulla tracciabilità. In ballo non c’è soltanto la richiesta dell’azienda di ingresso nella lista – e la verosimile conseguenza se avesse ignorato la dazione – ma il suffragio dei conti dovuto all’aumentata domanda. E’ lo stesso Dionisi a precisarlo: l’inserimento nell’albo, l’orientamento suggerito ai richiedenti di servirsi della “Diagnostica medica”, fa salire il fatturato dell’85 per cento.
Finisce qui, l’imprenditore viene scarcerato. Ma la vicenda solleva interrogativi di carattere più generale. Infatti – a prescindere dal “caso” in oggetto (che comunque offre lo spunto) – resta il fatto che qualunque sia stato l’importo della “bustarella”, appare quello dei centri convenzionati un esercizio decisamente remunerativo. Le carte dell’istruttoria e il dibattimento in aula diranno meglio e di più, ma se Ferraresi chiedeva il 20/30 per cento del fatturato – come faceva a sapere di potersi spingere sino a quei limiti? –, vien da domandare quanto frutta l’attività dei laboratori d’analisi accreditati.
Non c’è “terza via”. I 60mila euro l’anno di “mazzetta” non possono che corrispondere a minori guadagni, a “sacrifici” dell’azienda, oppure a maggiore esborso di danaro pubblico. Come dire che dev’essere messo in chiaro se le tariffe stabilite con le associazioni imprenditoriali di categoria collimano con il costo delle prestazioni. Il quesito è indirizzato alla Regione Lazio.