di TOMMASO VERGA
IL COLLOQUIO RISALE alla notte dei tempi. La “riesumazione” sul filo della memoria non rintraccia la data, integra invece la straordinaria attualità. Giovan Battista Lombardozzi è a Tivoli, passeggia nello slargo all’uscita di via del Trevio. Un deja vu casuale. Reciproco “come stai?”, qualche celia, poi si passa alle “cose”: “Mi spieghi perché puntavi – lui non è più sindaco da tempo – a una città di 120 mila abitanti? Le condizioni sociali di Guidonia non lo consentono, e neppure la dignità di una città totalmente sbrindellata. Anche in termini di economia e di occupazione, non sarebbe stato più opportuno e funzionale un grande progetto di risanamento, fondato sul rinnovamento dell’esistente, sulla ‘ricucitura’ d’un policentrismo d’accatto, dove nessun quartiere ha una funzione mentre tutti replicano se stessi?”.
“Teoricamente hai ragione – la replica dell’ex primo cittadino – ma l’utopia non risolve i problemi, a cominciare dai conti del Comune. Ormai l’unico introito vero (e diretto), è garantito dagli oneri di concessione della ‘Bucalossi’, e da quelli di urbanizzazione. In mancanza, non si potrebbe erogare i servizi”.
Ma dai… l’attività dell’urbanistica si contraddistingue per le varianti al Prg, tutte intestate ai ‘soliti noti’… (anche a quel tempo…). Poi, secondo aspetto, quello che non risulta nella realtà è il contrasto all’abusivismo, che da decenni la fa da padrone. Tanto che attraverso la legge-ponte avete risanato migliaia di ettari di terreno agricolo occupati illegalmente da costruzioni, battezzando interi nuovi quartieri. In quel caso sarebbe stato più adeguato decidere di varare un piano regolatore che almeno realizzasse un minimo di equilibrio tra insediamenti e servizi.
“Per ‘definizione’, Guidonia è un paesotto in provincia di Roma”
“Si fa presto a dirlo, voi gruppettari vedete il mondo dalla parte di sotto (ovvero “rifiuti”, imputazione mai ingentilita da chi vede il mondo dalla parte di sopra, mah! ndr). Intanto, l’abusivismo. Prova tu a governare un territorio complesso come il nostro, dove sono affluiti emigranti da ogni parte d’Italia, anche dal nord, attrattivo perché alle porte di Roma e con i costi delle case meno cari. Con un manipolo di vigili urbani numerosi quanto quelli di un villaggio. Guidonia è sempre stata valutata per ‘definizione’, un paesotto in provincia di Roma, non per quello che è, con le risorse altrettanto allineate” – ndr: per illustrare l’operazione “Tivoli silentes” contro la ‘ndrangheta, un tg nazionale per Guidonia adoperò la sintesi “nel piccolo centro in provincia di Roma”: dicembre 2015 –. Quanto al nuovo piano regolatore era nel programma delle mie giunte”.
Lì è rimasto. Anche per quelle successive. Salvo essere riesumato ad ogni occasione elettorale. Offrendo l’impressione che se ne parli perché Piano regolatore solletica l’immaginazione sulla trasformazione delle aree da meno a più remunerative. Per i candidati un ricavo netto in audience e voti. In questo senso, con differenze di maliziosa sostanza, i programmi di partiti e non si equivalgono. Ma serve davvero, allo stato dei fatti, un nuovo Prg?
Proviamo a valutare le cose per quel che sono, per come stanno. Guidonia Montecelio si approssima al numero di 100mila abitanti. Probabilmente già superato dalla “clandestinità residenziale”. Il “polo direzionale” e i diciotto piani di zona – salvo effetti del “vincolone” del Mibact –, lasciati in eredità ai prossimi governanti dalla coppia Rubeis-Ferrucci, sommano circa ventimila residenti. Il nuovo Piano regolatore, il “sogno” di Lombardozzi (e con lui di De Vincenzi, comunista a quel tempo, dei successori dc, dei sostenitori missini) si va avverando.
“Ritroviamo il valore civile dello spazio urbano contro la dittatura della ‘postmetropoli’” scriveva Vittorio Gregotti sul Corriere della Sera del 12 ottobre d’un anno fa. Quindi, “come è possibile, nei nostri anni, individuare un elemento fondante che si costituisca come riferimento nel tempo di una nuova città?”. Prima di provare a seguire la sollecitazione dell’urbanista, si deve porre un doppio interrogativo: sarà possibile, vexata quaestio, sottrarre alla speculazione, fondiaria ed edilizia, tanta e tale porzione di superficie? E, ammessa in via del tutto ipotetica la capacità di cogliere il risultato, ci si riuscirà senza contemporaneamente radiografare il grumo delle condizioni di partenza, ovvero come sia stato possibile (con il supporto di carte e documenti ufficiali) “aver modificato talmente tanto e male la natura dei luoghi (sostituendoli appunto con una ‘postmetropoli’), da obbligare alle ‘compensazioni’ onde recuperare ‘spazio urbano’ da destinare alla fruizione collettiva?”.
Un’impronta politica non subalterna al condizionamento degli affari
Non si tratta di “accademia”, ma della necessità di ragionare su presupposti – Guidonia Montecelio è un caso di scuola, andrebbe citato nella letteratura – in grado di rovesciare l’assunto, ripristinando il criterio d’un’impronta politica non sottomessa al condizionamento degli affari. Intrecciando la linea con la cancellazione della delicata ingiuria del “non-luogo”. Rafforzando la mai acquisita collettiva memoria delle origini (senza scherno: anche di quanti si rifugiano tutt’oggi nella ‘città di fondazione’ senza chiedere il perdono e l’assoluzione), ricostruendo “sin dalle mura” il sentimento dei confini. Per far sì che i concetti di “identità” e di “appartenenza” risultino davvero poliformi, utilmente, perché espressione delle borgate, delle persone, dei mestieri, della vita.
Come si converrà. la formula esclude – e comunque rinvia sine die – la realizzazione di un nuovo Piano regolatore a favore di un “Piano delle comunità” (al plurale…), memori delle origini e consapevoli che comporre un crogiolo delle diversità è la strada maestra, unica e sola per superare divisioni, differenze, squilibri. Fondendosi in un’assemblea (in altre latitudini si direbbe “governo ombra”) che rivendichi il “diritto alla cittadinanza”. Un sigillo. Che metta al riparo dai pericoli di scissioni autonomistiche di territori e borgate, ma soprattutto non permetta quanto avvenuto nei tre anni passati, il formarsi di una cricca di colletti bianchi associati per depredare la città. Nel pressoché totale mutismo dei depredati.