di TOMMASO VERGA

ANNO III, NUOVA serie. Prosegue la soap I diecimila di Rossella Solidoro. Le riprese hanno preso il via in questi giorni con la diffida (a sindaco? assessori? dirigenti? del Comune di Guidonia Montecelio) a recuperare la somma sulla retribuzione della protagonista che dà spunto alla narrazione. Vediamo di cosa si tratta.

Indispensabile il riassunto delle puntate precedenti. Che, a sua volta, non può non riesumare l’antefatto, ovvero l’indagine archiviata contro i “furbetti del cartellino” di Guidonia e il successivo rimborso delle spese legali di 10mila euro richiesto dall’indagata Rossella Solidoro a favore dell’avvocato Vittorio Messa difensore.

Annalisa Puopolo, segretaria comunale

Contro il beneficio s’era espresso (formalmente) il commissario prefettizio Giuseppe Marani. A seguire, gli interventi di Antonella Auciello e Annalisa Puopolo – l’una responsabile dell’avvocatura, segretaria generale dell’ente l’altra – determinavano la restituzione mai avvenuta), richiesta firmata dal dirigente Gilberto Pucci; ricorso al Tar della Rossella Solidoro, e sentenza a lei avversa.

Quindi la scena conclusiva, lo spariglio delle carte, il fulmine a ciel sereno (ma gli autori del coup de théâtre non rilasciano dichiarazioni) di una indagine conclusa della procura di Tivoli: “abuso d’ufficio” in concorso con Pucci. Motivo, aver causato un indebito vantaggio all’avvocato Vittorio Messa poiché i dipendenti del Comune sapevano entrambi che la parcella non doveva essere onorata dal municipio.

I dettagli. Vittorio Messa emette la nota il 6 novembre 2015, il 12 Rossella Solidoro la gira al Comune che la estingue il 4 dicembre, a  firma di Gilberto Pucci con la determinazione n. 120. I 10mila euro vengono revocati il 30 dicembre 2016, con l’ingiunzione di restituirli entro trenta giorni (determina 178, stessa firma). Secondo l’impiegata e il suo legale, così viene negato un diritto, per il commissario (e per la procura di Tivoli) non c’è nessun diritto.

Rossella Solidoro con il marito Michele Maccaroni; al centro, l’avvocato Vittorio Messa

La materia è di competenza del tribunale ordinario, dev’essere il giudice del lavoro a esaminarla

Patrocinante Vittorio Messa, Rossella Solidoro ricorre al Tar. Ricorso respinto. Un “che c’entriamo noi?” il succo della replica. Trasferita su quattro cartelle dattiloscritte, nelle quali i giudici amministrativi ribadiscono che la materia è di competenza del tribunale ordinario, ossia dev’essere il giudice del lavoro a prendere in esame l’appello e decidere in merito. Si aggiunga la decisione ostativa del commissario e ci si troverà dinanzi a una severità inusuale, sconosciuta a Guidonia Montecelio. Chissà, saranno le effemeridi, una fattucchiera, certo è che occorre una dama (nera) che allontani la malasorte.

Diverso l’oggetto, dal Tar viene ribadito lo stesso orientamento espresso in precedenza per il ricorso dell’assessora attuale Romina Polverini, nelle vesti di partecipante al nonconcorso dipalmiano sulla scelta di due dirigenti del Comune. Anche per lei, i giudici amministrativi risposero che si sarebbe dovuta rivolgere a quelli del lavoro, che era stata male indirizzata.

La sentenza Tar-Rossella Solidoro è la n. 5660 del 10 maggio 2017: “in caso di questione concernente il diritto al rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni – scrivono i magistrati –, la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, quale Giudice del lavoro, giusta la previsione di cui all’art. 69, comma 7 del D.Lgs. n. 165/2001, secondo il quale, come noto, ‘sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998’” il testo della decisione.

Qui le “opinioni” dei contendenti divergono. Detto del municipio, secondo i patrocinanti di Rossella Solidoro occorre attendere la sentenza del giudice ordinario, poiché il Comune ha fatto riferimento proprio a una decisione del Tar, erronea perché viziata da incompetenza. Contestazione solida se non fosse che sull’accaduto ha espresso valutazione pesante e certo non favorevole all’impiegata il Tribunale di Tivoli. Un oggettivo sostegno alla decisione di Giuseppe Marani.

La revoca decisa del Comune non costituisce l’esercizio di un potere autoritativo

Dettaglio non secondario, secondo il TAR laziale, il Comune ha svolto la sua funzione in qualità di datore di lavoro, come sarebbe avvenuto in qualsiasi azienda. Cosicché non lo si può neppure accusare di aver debordato dalle proprie competenze, di “autoritarismo” in sostanza.

Infatti, “non incide, poi, evidentemente, sulla qualificazione della situazione soggettiva fatta valere e sulla spettanza della giurisdizione il fatto che la domanda azionata in questa sede dalla ricorrente sia diretta a contestare una determinazione assunta in via di autotutela dall’Amministrazione, atteso che questa risulta oggettivamente correlata alla gestione del rapporto di lavoro, non costituendo l’esercizio di un potere autoritativo, ma rappresentando l’espressione di una attività svolta dall’Amministrazione nell’ambito dei poteri del privato datore di lavoro”. Alla prossima puntata.