di TOMMASO VERGA
CERTAMENTE SARA’ un supermanager come dicono quelli che lo conoscono e l’apprezzano a Civitavecchia o che siedono nella cabina di regia della Pisana, i cinephiles affezionati agli speculari bianco e nero della sanità del Lazio. Non esclusa qualche ragione: depone a favore il cambio al vertice della direzione sanitaria della Asl Rm5 con l’uscita volontaria di Simona Amato – in navigazione verso Ostia –, sostituita da Luciano Cifaldi, primario oncologo di Colleferro, un “interno” alla Asl Rm5 quindi, seppure in temporaneo “esilio” da quasi due anni a Latina.
Ma allora, ci si chiede, perché Giuseppe Quintavalle governa due “semplici” Asl, somma Civitavecchia al part-time di Tivoli? E non presiede – tanto per rendere l’idea si utilizza il paragone – il Policlinico Umberto I, che ormai da un anno registra il va e vieni dei direttori generali (Joseph Polimeni, il penultimo, è scappato dopo soli due mesi)? E quali pregi professionali custodiva Vitaliano De Salazar per essere “promosso” all’azienda di Ostia (altra inaugurazione di un’emodinamica) dove sarebbe stato più adeguato proprio Quintavalle, vista la natura unitaria del litorale?
Interrogativi che portano alla conferma – il sospetto c’era già: su queste pagine Giuseppe Quintavalle, l’esecutore, ha esordito il 12 ottobre –, senza mezzi termini, che il cambio della sedia a via Acquaregna, sia il prologo di una storiaccia. Permeata dalla sensazione che una condanna sia stata già emessa: la chiusura. Stando alle intenzioni di Nicola Zingaretti (la delibera presentata in giunta e rinviata a dopo le elezioni “troppo vicine”), il giro di giostra dovrebbe arrestarsi per far scendere il direttore generale, una figura apicale e uno stipendio in meno per effetto dello spacchettamento della Asl Rm5. Una parte con Bracciano, una seconda con i Castelli, l’ultima con Frosinone. Come per i salmi, la gloria verrà dall’annuncio d’una poltrona in meno, del risparmio sulla spesa e via elencando le beatitudini e le virtù.
Su quanto sta accadendo e sul destino della Asl Rm5 il mutismo totale dei consiglieri regionali uscenti
Che quanto accade non piaccia all’entourage del presidente della giunta, è mostrato dal mutismo assoluto dei consiglieri regionali uscenti. Di tutti gli schieramenti, ma in particolare dei “locali”, gli “zingarettiani-orlandiani” Daniele Leodori e Marco Vincenzi, pd, notoriamente facondi nei comunicati stampa e nelle dichiarazioni (Vincenzi, a suo tempo, è riuscito persino nella prodezza di esaltare l’avvio del Tmb, l’impianto per i rifiuti all’Inviolata). Nella circostanza, il mutismo mostra disagio, non possono certo dire ai loro elettori e ai cittadini in genere di non gradire il “commissariamento” della Asl Rm5. Però neppure il contrario. Se “il capo” ha deciso, ha deciso. Finisce lì.
Oltretutto, Zingaretti potrebbe sempre portare a giustificazione della chiusura il pessimo stato della sanità nel comprensorio. A ragione. Perché il comparto in parte è rimasto fermo alla direzione di Giovanni Di Pilla, per altro s’è decisamente aggravato. Le colpe? Per chi vuol chiudere la Asl non v’è dubbio che colpevoli sono enti locali e utenti. Di qui la punizione.
Come se ai “locali” risalisse la responsabilità – per citare – di aver riconvertito a “rems” (le residenze per i malati mentali subentrate agli ex manicomi criminali), i tre livelli dei nosocomi di Subiaco e di Palombara Sabina sottratti al servizio sanitario pubblico. I cui effetti sono ricaduti, appesantendolo oltremisura, sull’intero sistema territoriale.
Casa della salute: la fascia tiburtina equiparata numericamente a Zagarolo
La “stretta” della rivendicazione di un moderno nosocomio dell’”area tiburtina” risale a fine anni Duemila, direttore generale Giovanni Di Pilla. Obiettivo al quale il dg irpino contrappose la “piastra di primo soccorso”, interna all’Italian hospital group. Nei due edifici al limite del perimetro dell’ex Martellona, sul versante centro commerciale. Quello che rese subito aspro il confronto, fu la mancata risposta al quesito “pratico”: se necessitasse un intervento d’urgenza o complesso, a cosa servirebbe un pronto soccorso monco di strutture, reparti e specialisti?
Punto di domanda valido tutt’oggi. In una campagna elettorale di mirabolanti e fantasmagorici impegni, si torna a parlare di una “casa della salute” promessa sette mesi fa da Nicola Zingaretti ai guidoniani. Che farebbero bene a verificare cos’è una “casa della salute” prima di dire “ok ci stiamo”. Per rendere l’idea si prende in esame il profilo dimensionale: nei paraggi, una “casa” è a Zagarolo (18mila abitanti) e un’altra a Palombara Sabina (13.500). Meno di un quartiere di Guidonia Montecelio e/o di Fonte nuova. Nemmeno aggiungendo le certe confluenze di domande provenienti della periferia est romana: Ponte di Nona, Case Rosse, Settecamini, Lunghezza, perché non Montesacro? Una quantità smisurata.
La promessa distoglie l’attenzione rispetto al necessario ospedale
La serietà d’una proposta della politica non può essere misurata da un’infermeria pluricamere. Sulla quale, oltre a pesare compiti totalmente slegati dalla gravità del caso, aspetti da dover obbligatoriamente delegare all’ospedale, non troverebbe riparo il fenomeno della mobilità passiva, per le caratteristiche del territorio un peso economico elevatissimo nella Asl Rm5. Al centro della quale, per una serie di fattori – uno per tutti, la difficoltà per raggiungerlo –, il “San Giovanni Evangelista”, andato via via trasformandosi in una sorta di refugium peccatorum delle popolazioni limitrofe a Tivoli mentre i locali si dirigono a Roma.
Serve un ospedale dell’area tiburtina. Nessun “surrogato” tipo casa della salute o contentini da 300mila euro. Una decisione che non si può più scansare. Si deve ripartire dal 1999, allorché la Regione Lazio stanziò la prima tranche dei 145 milioni di lire necessari per l’edificazione completa. Che nel 2001 spese Francesco Storace, presidente della giunta regionale tra il 2000 e il 2005, distribuendoli a pioggia ai più diversi richiedenti. D’accordo con Marco Vincenzi, difensore del San Giovanni Evangelista, ospedale base elettorale.
Nell’area dell’ex Pio istituto Santo Spirito, ci sono 100 ettari di terreno ancora non compromessi (20 nel comune di Tivoli; gli altri a Guidonia Montecelio). Lì può trovare soddisfazione l’obiettivo dell’ospedale, con il vantaggio che essendo superficie di proprietà della Asl Rm5 si abbatterebbero i costi della costruzione (e si contribuirebbe anche alla parziale riqualificazione urbanistica e sociale del quartiere di Albuccione).
Sul tema attendiamo l’espressione dei candidati al consiglio regionale. Sarebbe il segno positivo esplicito della volontà di mantenere in vita l’azienda sanitaria. Se vuole, anche Giovanni Quintavalle dovrebbe dire la sua.