La giostra della propaganda e delle promesse della Lega: si inizia con il casello autostradale, poi diranno del doppio binario da Bagni…, della “48” da Villanova a Tivoli. Intanto, Francesco Menditto, il procuratore della Repubblica, dimostra a Salvini – l’amico di Casa Pound, il partito degli stupratori viterbesi – l’inutilità nella «vita reale» della sua legge sulla legittima difesa: «il giovane di Monterotondo che ha sparato ai ladri l’abbiamo tutelato applicando le leggi in vigore»
di TOMMASO VERGA
Per il comizio del 1° Maggio – «Non fate confusione, la festa dei lavoratori non c’entra (selfie, ndr); roba dei comunisti, tanto quando toccherà a noi l’aboliremo» – al Capo va passata l’annotazione del programma; «deve dire che bucheremo il monte dietro Quintiliolo per raddoppiare il binario della ferrovia dalla stazione di Bagni a quella di Tivoli e anche che costruiremo un ponte sulla via Maremmana per prolungare la “48” da Villanova a Villa Gregoriana».
La bramosia, stimolata dal desiderio di indossare la felpa del gerarca per decidere seduta stante. Senza perdere tempo con le «rotture procedurali», le commissioni consiliari, il Consiglio comunale, le leggi che tutelano l’ambiente, la proprietà privata… («mmm no, quella meglio non stuzzicarla, può sempre tornare utile, dategli l’Iban casomai decidesse per una donazione… sì, sì, anche esterovestita, tranquilli»).
Le promesse elettorali. Antica abitudine della politica italiana che non muore mai. Parlano gli aderenti all’ordine «dei salviniani» – benedicente Armando Siri, l’uomo del Pin, che alla vista delle colline tuttintorno ha chiesto «che ne dite? l’eolico andrebbe bene?», ehm… –. Poi ha parlato il candidato: «Quando sarò sindaco aprirò un casello autostradale», garanzia che raggiunge refrain di tempi andati, una scarpa prima e l’altra dopo il voto del comandante Achille Lauro (che oggi sarebbe preso a esempio da ogni leghista), oltretutto accoppiata al tecnopolo che si dovrebbe realizzare sulla Tiburtina distante un paio di chilometri da quello già esistente, nel quale si è insediata sei mesi fa «Aruba» (programmate 200 assunzioni nel 2020). Fantasmagorie appunto.
Stando ai resoconti, indifferenza regnante rispetto ai «temi strutturali», che per direttiva di Salvini sono di sua pertinenza esclusiva in quanto Capo della lega, spot di propaganda. Si vota! si vota!: per cosa non importa, è il momento di tenere celata la passione reale di Matteo Salvini, vietato parlare del pedaggio sul grande raccordo anulare, del trasferimento dei ministeri al nord, della secessione dei ricchi contro il Mezzogiorno e le isole (il sogno leghista della divisione del Paese), obbligatorio il silenzio sui motivi che fanno discutere, che distolgono l’attenzione dalle promesse del governo.
L’antico rancore della Lega unito al disprezzo per la Capitale d’Italia
Proviamo a rimediare. Nauru è la repubblica indipendente più piccola del mondo. Estesa per 21,4 km quadrati è occupata da circa 10 mila abitanti. Metti il caso che il prossimo fine settimana sia occupato dalla visita del presidente di quella repubblica al nostro; oppure che il leader del governo nauruano abbia in calendario l’incontro con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. E che, l’uno, l’altro, insieme, separati, gli ospiti stranieri vogliano visitare questo o l’altro monumento, il tal museo, quella cattedrale, una basilica, bellezze delle quali hanno sentito parlare e che conoscono quel tanto (proprio tanto) che hanno appreso dai libri di Storia. La Storia dell’Uomo.
Tutto molto bello e rinfrancante: lo spirito e l’orgoglio dovuto all’appartenenza. Diverso e opposto lo stato d’animo di chi deve garantire l’accoglienza. La domanda “chi paga?” per Salvini è un brutale ingresso di «Roma ladrona». Brutto slogan patrimonio dei nordisti, trascurato nel comizio sotto l’Umbria, ripreso varcato il Garigliano. Lasciamo da parte l’aggravio per i servizi cittadini causato dai turisti. Un peso non irrilevante. Data l’eccezionalità dell’offerta, a Roma visitare il Colosseo o varcare le mura vaticane è «pane quotidiano». E trascuriamo pure le «visite di Stato».
Per evitare che Salvini e l’ordine dei salviniani accusino di ricorrere ad artifizi ed alla propaganda, si prende in esame l’esempio più terra terra ma consueto nella sua ordinarietà, una ricorrenza che si propone più volte ogni settimana: la riunione del Consiglio dei ministri. In genere di sera l’inizio (oggi l’avvio è fissato alle 21), a notte spesso inoltrata il termine. Anche in questa evenienza (che evenienza non è) si debbono garantire i servizi, dei quali è responsabile il Comune. Per dire: il più ordinario, la presenza dei vigili urbani a largo Chigi, a carico del Campidoglio, quindi col pagamento della maggiorazione per lo straordinario.
Tutti «casi» nei quali Roma e la sua provincia, insieme spesso, separati talvolta, corrispondono «beni» per conto dello Stato italiano, con l’aggiunta solitamente «per far bello» chi governa. Da secoli. Roma nemmeno capitale suggeriva ai signori, alla nobiltà, a vescovi e cardinali, tutti coloro che andavano a fare le acque o a passare il weekend in villa. Una integrazione territoriale straordinariamente riuscita, anche in termini di lavoro e di compenso. Con ruoli definiti, non soltanto per Tivoli. Nei tempi ormai andati, si rammenterà l’avvocato Gianni Agnelli alle Acque Albule…
In Europa le Capitali godono di un apposito bilancio, norme ad hoc
Tutto questo per dire della complessità della funzione di Roma, secondo il colto leader della lega «città come le altre» ma volenti o nolenti anche capitale. Incombenza che, perlomeno in Europa, è unanimemente valutata sotto il profilo economico. Riconoscimento accettato in modo pacifico dalle comunità nazionali. Non qui (si provvederà quando Salvini prenderà il Campidoglio, ovvero mai).
Volendo ricondurre il ragionamento e questa «storia» all’attualità, occorre dire che Virginia Raggi qui entra di ripiego. La sua posizione e quella del suo partito sono sbagliate, prive di reali obiettivi di riforma, in quanto riguardanti la ridiscussione degli interessi sul debito del Comune e non il «finanziamento di Roma capitale». Il tema (non più) si discute senza esito da quando lo sollevò Valter Veltroni, sindaco dal 2001 al 2008. Necessità teorizzata anche da Francesco Storace, dal 2005 e per un quinquennio presidente missino della Regione Lazio, propugnatore della capitale-distretto modello-Berlino quanto a forma di governo dell’area vasta a differenza di Veltroni, sostenitore della città metropolitana.
Che Virginia Raggi ha affossato. La città metropolitana di Roma è priva del sindaco-bis dal gennaio del 2008, il supplente previsto dalla legge non è stato più nominato dalla Raggi a causa delle lite interne al movimento di Grillo. I 5stelle sono divisi al punto di aver «mandato sotto» la sindaca nella votazione relativa alla «mappa» sulla dislocazione degli impianti dei rifiuti da inviare alla Regione Lazio.
Gli assetti istituzionali – da Roma capitale alle Province-aree metropolitane alle spinte secessioniste mascherate da maggiore autonomia delle Regioni –, come è noto, è tra i temi che in questo periodo dividono 5stelle e Lega. Liti vere, non commedie, alle quali il pubblico assiste distratto mentre dovrebbe viceversa partecipare. Con maggiore attenzione. Perché questa voglia della lega di rafforzare il regionalismo, è pari all’invito «l’accompagno a casa» dello stupratore; passasse, ci si troverebbe a ragionare delle cartelle del monopoli con tanti saluti allo Stato repubblicano.
Altra divisione, quella sulle Province. Che Salvini vuole ripristinare nella forma d’origine precedente la legge di Graziano Del Rio sulle città metropolitane. Enti che hanno fallito la mission secondo il ministro degli affari interni della Lega. Chissà quanto è d’accordo Roberto Calderoli, il suo collega di partito autore della originale riforma Province-città metropolitane.
E per concludere (in bellezza), la guerra con(tro) gli zingari
ALBA PONTINA. Proprio in questo periodo si direbbe «prende forma e sostanza» l’approfondimento degli investigatori su «Alba pontina», l’operazione giudiziaria che ha portato alla luce le relazioni tra la Lega di Salvini e le famiglie rom e sinti dalla pianura pontina. Il clan Di Silvio in partcolare. Da Globalist del 4 luglio 2018 (nella foto): «Daniele Mastracci, “Alba Pontina”, arrestato per spaccio. Fin qui… Non basta, occorre uno sguardo all’«inoltre». Secondo la pubblica accusa, l’indagato ha fatto campagna elettorale a favore di Orlando Angelo Tripodi, capogruppo in consiglio regionale del Lazio; candidato sindaco alle comunali del 2016 di Latina. Un bel problema. Perché il pm precisa che il voto indirizzato al «cavallo» valeva 30 euro. Ogni preferenza 30 euro. Una dazione che provoca la domanda: chi forniva non proprio qualche spicciolo? Interrogativo non banale, al quale ha replicato l’uomo politico interessato parlando di fake news e minacciando querele: “Chiunque divulghi questa notizia fantasiosa ne risponderà davanti ai magistrati, perché sono estraneo ai fatti e, peraltro, non sono nemmeno indagato. Questa presunta compravendita di voti non mi appartiene e non riguarda il sottoscritto. Ho sempre militato con onestà e trasparenza, come anche i miei avversari politici hanno sempre riconosciuto” si legge in una nota.
La descrizione dei fatti e il nome di Angelo Tripodi compaiono nell’ordinanza del giudice Antonella Minunni. A lei il compito di accertare la corrispondenza tra i fatti e le dichiarazioni dei pentiti».
Agli atti dell’indagine – ancora nell’articolo – «risulta allegato anche un rapporto del commissario di Terracina, secondo il quale il 4 giugno 2016, una ventina di giorni prima dello svolgimento delle elezioni amministrative, sarebbero stati rinvenuti in una macchina su cui viaggiava Agostino Riccardo, noto luogotenente del clan Di Silvio, numerosi manifesti riguardanti candidati della Lega alle elezioni amministrative di Latina e Terracina, tra cui anche quelli a sostegno di Zicchieri, attualmente vice capogruppo alla Camera dei deputati della Lega»
Converrà ricordare che Di Maio ha chiesto chiarimenti in proposito al suo collega di governo.
TORRE MAURA. Innanzitutto un riconoscimento: quello di trasferire alcune famiglie rom e sinti a Torre Maura è un atto che Virginia Raggi, la sindaca di Roma, può rivendicare, che le fa onore. Chiudere i campi e affrontare i problemi delle etnie – perlomeno con quanti d’accordo – è stato un atto meritevole, da sostenere. Togliere gli zingari da mezzo la strada, mandare i bambini a scuole, igiene, pulizia e quant’altro, a Torre Maura avrebbero trovato soluzione. Non è stato possibile.
Perché innanzitutto il ministro Salvini non ha sostenuto lo sforzo del Campidoglio. E perché, dinanzi alla cagnara orchestrata dal gruppetto di Casa Pound (zittito da Simone, il ragazzino di 15 anni), il ministro Salvini non solo non ha speso una parola, ma ha oggettivamente sostenuto le tartarughe nere nel loro carosello razzista, abdicando per motivi elettorali alle funzioni di governo.
Una prova che si potrebbe definire generale dei suoi orientamenti e capacità. Salvini dice di pensare prima agli italiani. Purché indossino la camicia nera e ricorrano al saluto fascista.