di TOMMASO VERGA

LA CRONACA. Ieri hanno impedito la consegna del pane donato dai volontari ai rinchiusi nel centro di accoglienza. Ieri l’altro sono arrivati al punto di metterselo sotto i piedi. E ti sovviene quando, per rimanere in piedi, mettevi nello stomaco la cirioletta imbottita di riso bollito in bianco che ti consentiva di superare l’intero giorno (oggi, secondo l’uso invalso, H24), unico pasto rimediato e possibile.
Torre Maura, una banlieue di Roma. Almeno si direbbe, tutti la fanno semplice, ricorrendo a una comodità interpretativa che eviti di misurarsi con il reale, le analisi più «colte» si soffermano sulle responsabilità di questo o dell’altro sindaco, partiti, giunte, maggioranze, coalizioni. Ci sta tutto. Al punto però, almeno così appare, che si proietta il festival del giudizio (dell’interpretazione) debole. Dimenticanze? Sottovalutazioni? Ignoranze? Sì: il fuori-centro non governato.

DOMANI ALLE 10 A TORRE MAURA LA RISPOSTA A CASA POUND
Una convocazione fatta con le parole del giovane Simone, che ha risposto al dirigente di CasaPound Mauro Antonini che agitava gli abitanti contro i poveri accolti, con un secco “Non me sta bene che no”. Proprio questa sua frase è stata scelta da un gruppo di organizzazioni antifasciste romane – Anpi, Arci, Acli, Cgil, Libera e altre associazioni degli studenti – come slogan per il contro-presidio democratico. Domani, in piazzale delle Paradisee, dalle 10 del mattino

Si è tornati al «lontano da Roma i pesi e le funzioni impropri, incompatibili con una capitale». Così gli zingari. Alla pari degli «sfasciacarrozze (gli autodemolitori, ndr), fuori dal raccordo anulare».
Un collegamento, quello tra le politiche del tempo andato e Torre Maura, che i pensatori non sembrano conoscere granché. Qualche titolo, qualche sommaria definizione, tanto per dare un po’ di colore. Fa storia a sé Matteo Salvini (in quanto autore del decreto sicurezza più che ministro degli Interni), il quale coglie l’occasione per dare consigli di una profondità sconvolgente: «No a ogni forma di violenza, no allo scaricare sulle periferie ogni genere di problemi, però siamo stufi di sprecare i soldi per chi non fa niente o ruba»; però, per alleviare gli animi, a Torre Maura «ho visto anche tante persone protestare in maniera civile»: sicuramente intendeva le teste rasate e i seguaci del riff «Salvini uno di noi».
Poi è intervenuto Simone, 15 anni di spirito libero, nuovo e inaspettato, capace di colloquiare su temi sconosciuti agli urlatori, sugli ultimi, sulle minoranze, capace di ricordare che lui è romano e che i romani sono così, sono come lui. Chi l’ha dimenticato dovrebbe ripassarsi la Storia.
Unanimi i maître à penser sulla condanna dei neofascisti. Christian Raimo, Marco Travaglio, Stefano Fassina. Che va riportato: «Torre Maura è conflitto sociale sfogato in scontro razziale, cavalcato dai fascisti. Non è un tentativo di minimizzare. È l’unico modo per arginare tendenze sempre più pericolose. Diamo visibilità al nemico di classe, ai grandi capitali finanziari liberalizzatori e privatizzatori, agli interessi degli speculatori immobiliari, alle loro sponde politiche nelle amministrazioni e nei governi. Invece, della scorciatoia facile e illusoria di etichettare il popolo delle periferie come razzista, miglioriamo le condizioni di vita innanzitutto lì. E facciamo accoglienza e integrazione rom e migranti dentro le ztl. Quindi, stop al suprematismo morale da sinistra»: testuale.
Nessuno considera un particolare, «organico», a contestazioni di questa natura. «Li zingari se portano appresso le guardie, e sta’ cosa non va bene». Che c’entra, che vuoi dire? «Non capisci? aumentano i controlli, danno fastidio non poco, rischi pure se ciai un po’ d’erba». Intendi gli spacciatori? «Eccerto, sono loro ad aizzare la canizza».

Virginia Raggi intanto li trasferisce: così protesterà un altro municipio

L’Unità del 16 dicembre 1987; sotto, le proteste a Torre Maura

Incredibile come al solito Virginia Raggi, stabilmente ormai nei panni della pubblica accusa. Complotti, macchinazioni, eccetera. In questo caso, per aver gestito come s’è visto l’operazione-rom, la colpa va agli uffici del Campidoglio (chissà qual è l’altro metodo). Intanto provvede a ordinare la «ricollocazione» degli ex ospiti dell’«Usignolo» di via Codirossoni  in diverso luogo. Cosicché, tra applausi e saluti romani, i primi 18 nomadi sono stati scortati in altri centri fuori dal IV municipio. Come la sindaca immagini di aver risolto il problema è da responso astrale. Oppure affidato al buonsenso e alla pazienza degli abitanti del quartiere d’approdo.
La dichiarazione di Roberto Morassut, del Pd, assessore dell’Urbanistica romana con Veltroni, introduce al tema successivo: «Come sempre botte ai poveracci e alleanze coi criminali in piena coerenza con la storia del fascismo. Il ministro Salvini che li protegge e la Sindaca Raggi che li tollera devono rispondere di questa situazione che mette a rischio la sicurezza dei cittadini romani». Sembra dire che è tutto qui…
La delega di Morassut fu l’estremo cenno (fallito) indirizzato a una gestione pianificata dell’intero territorio provinciale, da mettere in sintonia con il Piano regolatore generale. A sua firma, nella prefazione dello strumento urbanistico, «a differenza del passato» (come si legge nel preambolo delle “buone intenzioni”) Morassut sostiene la necessità di definire «un Prg concertato con le città confinanti, affinché il ‘nuovo modello’ di Roma non andasse ulteriormente ad aggravare le condizioni di vita di chi risiede nella prima cintura». Chissà chi ha gestito il nulla venuto poi…
A sommare, tutto sta a dire che i fatti di Torre Maura dovrebbero occupare un preciso spazio nella politica propriamente intesa. Sforzandosi di escludere il pensiero – unico, da ogni parte provenga – che vuole tramutare l’incapacità in un girotondo, assegnando un cavalluccio della giostra a ciascuna delle formule di Campidoglio, Palazzo Valentini, largo Chigi (Comune, Provincia poi Città metropolitana, governo).

«Deromanizzare»: per costruire le opportunità fuori dal perimetro urbano

Che sarà pure corretto a patto che si intenda la sostanza dell’argomento, che ci si convinca che parliamo di «Roma-una-la-matrigna», due e tre, tutte racchiuse in un solo, effettivo, involucro. Torre Maura è nella seconda. Come, sempre in tema-rom, lo sono state Tor Sapienza e Tor Cervara. Oppure l’antesignano Albuccione, con i pneumatici bruciati sulla via Tiburtina già una trentina d’anni fa. A seguire, la terza Roma – i campi di Tivoli Terme o di Guidonia Montecelio o di Ciampino –, definita provincia.
Un termine appropriato ma per gli studenti e gli insegnanti di geografia. Del tutto ignorato o sconosciuto nel quotidiano, nella vita di ogni giorno. Perché Roma è grande quanto Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria messe insieme. Ed è suddivisa in 15 municipi ma con la stretta interconnessione, spesso un gravame, dei 120 comuni della «cintura». Un «sistema» territoriale (e sociale) fuori norma regolato con l’abbecendario. Rebecchini, Cioccetti, Della Porta, per giungere a Carraro, Rutelli, Veltroni – gli ultimi due entrambi autori dell’ultimo Prg capitolino –, Alemanno e finire con Virginia Raggi, tutti a trattare come extraterritoriali quel quasi mezzo milione di «burini» ogni giorno in movimento va-e-vieni «Roma uno-terza Roma».
In effetti, «vengono da fuori». Per ragioni di lavoro, studio, cultura, tempo libero fino alla salute. Attribuzioni che ricadono sul bilancio del Campidoglio senza ritorno alcuno. Quanto costano a Roma i conseguenti servizi, dalla mobilità alla nettezza urbana ai rifiuti alla visita medica? Per quale introito? E invece, se si tenessero in rilievo gli addendi della contabilità, quanto converrebbe, a tutti, trasferire fuori (le Mura di una volta) del perimetro urbano il manifatturiero, occasioni di lavoro, risorse, disponibilità, università, con l’obiettivo di «rovesciare» un sistema territoriale tal quale dal fascismo?
La metropoli – apparirà una esagerazione: ne va della stessa sopravvivenza – deve proporsi la «deromanizzazione». Sua e dell’hinterland. Sia in termini di romanocentricità nella soddisfazione dei bisogni che di assetto istituzionale. Come dire che tutto va ripensato. A cominciare dalla liquidazione di un ente inutile come la Città metropolitana. Da sostituire con un unico soggetto, da un Campidoglio competente e riconosciuto, espresso dalla sola e intera popolazione del territorio urbano e provinciale. Uno spunto, non finisce qui. A dopo la manifestazione di Torre Maura…