di TOMMASO VERGA
Definita ieri mattina la nuova proprietà della villa di Marco Simone, il quartiere di Guidonia Montecelio divenuto celebre per la presenza dell’azienda di Laura Biagiotti (una fama in crescita visto che il golf club di famiglia nel 2022 ospiterà la Ryder Cup). Adesso, l’attesa dell’amministrazione per l’incontro in Regione. Necessario ad avviare lo step conclusivo, la fase operativa che giocoforza comprende anche il finanziamento dei lavori necessari a rendere completamente vivibili i locali, nei propositi del Comune destinati a casa-rifugio (anche se, almeno a colpo d’occhio, non sembrano necessari interventi di sì grande portata).
Per realizzare l’opera, oltre a quello regionale, si può attingere a un capitolo nazionale, 60 milioni il capitale disponibile, soltanto cinque utilizzati dalle associazioni e dagli enti locali assegnatari di parti del patrimonio confiscato.
Gaetti: «Dieci giorni a dicembre nella multiproprietà di Cortina d’Ampezzo»
Forte dell’esperienza in materia, il sottosegretario Gaetti ha annunciato una «svolta» nella gestione dei fondi (non celando il fatto che il governo dovrà tornarci su dopo la cancellazione del provvedimento dal «decreto sicurezza»): «Necessita sicuramente commisurare la quantità di fondi necessari alla gestione del patrimonio. Ma anche valutare l’opportunità di consegnare i beni in determinate condizioni. Si prenda un immobile: va ristrutturato se lo merita, altrimenti è preferibile abbatterlo.
«E’ una materia – ha concluso il sottosegretario –, nella quale occorre maggiore consapevolezza da parte dei destinatari. Le associazioni e gli enti locali debbono acquisire l’idea che i beni confiscati rappresentano una risorsa».
– Onorevole Gaetti, a quanto ammonta il patrimonio dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, c’è una stima a livello nazionale?
«Tutto compreso, siamo attorno a una decina di miliardi. Però debbo precisare che si tratta di una cifra comprensiva di una varietà incredibile di attività. Alcune in condizioni pietose, per le quali, ripeto, l’unico intervento plausibile è l’abbattimento. Oppure altre delle quali è problematico se non impossibile considerare l’impiego. Immagini che nel novero dei beni confiscati c’è una multiproprietà a Cortina d’Ampezzo disponibile per dieci giorni a dicembre. Difficile pensare all’eventuale utilizzo».
– Tuttavia resta l’opzione della vendita. Per la quale però si pone il problema che la legge, seppure non intenzionalmente, non esclude possano tornare nella disponibilità delle associazioni malavitose alle quali erano stati sottratti. Avete risolto il problema?
«Sì, il rischio è stato definitivamente escluso. Oggi le garanzie richieste a chi vuol comprare sono maggiori di quelle che normalmente vengono domandate per una transazione commerciale, in questo caso si applicano le norme in vigore con la informativa antimafia».
Ad ogni buon conto, Libera continua a non condividere la possibilità che i beni vengano venduti. Per quanto il governo mostri di essersi fatto carico del pericolo, approfittando dell’opportunità costituita dalle procedure di vendita ai privati, i beni confiscati possono tornare in possesso dei mafiosi ai quali erano stati sottratti, o persone a loro vicine, oppure loro prestanomi, o comunque soggetti in rapporto con ambienti criminali.
L’associazione antimafia di don Ciotti porta a esaminare quale esempio un «caso pratico» di vendita. Che, nella circostanza, può essere la villa di Giuseppe Casamonica a Marco Simone. La quale, sufficiente la visita, si rivelerebbe di assoluta soddisfazione per un potenziale acquirente. Sino al momento di conoscere il nome del proprietario precedente: Casamonica. E’ decisamente probabile che l’interessi scemi immediatamente, che la vendita non vada a buon fine: chi comprerebbe un bene già di proprietà di un condannato-recluso per «associazione mafiosa»? Basta raccordare l’esempio con le organizzazioni come la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita e la conclusione si rivelerebbe deficitaria in termini di impegno e di costi necessari a svolgere un’operazione di nessuna utilità.
Con l’«ospite d’onore» Luigi Gaetti, sottosegretario all’Interno (con delega all’amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tivoli Francesco Menditto, il sindaco Michel Barbet e il vice Davide Russo, assessore ai Servizi sociali e alla Legalità. Altresì presenti, la dirigente della polizia di Stato, Paola Di Corpo, e, per i carabinieri, il capitano Marco Beraldo e il tenente Alessandro Sigillò.
«Quanto a frequentazione, la casa-rifugio si trasformerà presto in una sorta di commissariato, un punto di riferimento che interesserà le donne maltrattate dell’intera circoscrizione del tribunale di Tivoli» ha detto Francesco Menditto, ripetutamente intervenuto nelle vicende di questa natura, al punto in un caso di vietare a un coniuge in carcere, in procinto di uscire da Rebibbia, di mettere piede nei Comuni della circoscrizione del tribunale di Tivoli frequentati dalla corsorte. Sotto l’aspetto pratico, a palazzo di giustizia è stato aperto uno «sportello informativo» per le vittime di violenze. Uno «sportello» che diventerà un trait-d’union con la casa-rifugio. La quale, il dettaglio, è una struttura dedicata, che fornisce alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di proteggerli e di salvaguardare l’incolumità fisica e psichica.
Così l’ultimo atto della residenza di Giuseppe Casamonica (e/o di Luigi Ciprelli) nella più grande città della provincia confinante con Roma. La villa di Guidonia transita dal capoclan alla disponibilità del patrimonio comunale. Nessuna cerimonia formale, soltanto la consegna delle chiavi a un emozionato Davide Russo, che finalmente coglie il risultato dopo un anno dall’avvio della pratica che puntava a comprendere villa-Casamonica tra i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
I BIGLIETTI DA VISITA DI LUIGI CIPRELLI. Una singolare circostanza: depositata su un divano nei pressi dell’ingresso principale dell’abitazione, una scatolina contenente in quantità biglietti da visita di Luigi Ciprelli, commerciante di macchinari e attrezzature. Non è stata – né tantomeno lo è adesso – l’attività lavorativa la questione più interessante, perché l’uomo fu protagonista di un sanguinario episodio di cronaca nella notte del 16 aprile 2016, vittima di un agguato durante il quale venne colpito al braccio da un colpo di revolver mentre rientrava nella propria abitazione, in un quartiere limitrofo a quello di Marco Simone.
Le indagini svolte dai carabinieri portarono alla luce che il Ciprelli era stato «impegnato» nel ramo delle estorsioni. Di certo, non un «concorrente» di Giuseppe Casamonica, vista l’ospitalità offerta nella villa di Marco Simone. Tra l’altro, ai miltari dell’Arma la moglie di Ciprelli dichiarò di aver denunciato il coniuge per stalking, reato per il quale all’uomo era stato vietato di avvicinarsi alla donna.
«Pichini»: il ministero sgombera la prossima settimana (probabilmente)
Con il trapasso della ex-proprietà Casamonica rimane ancora in piedi il «problema Pichini», quartiere nel quale 177 costruzioni due anni fa vennero confiscate alla criminalità organizzata per effetto dell’«operazione Babylon». E’ possibile che la prossima settimana vengano «liberati» le abitazioni e i negozi occupati. Nel complesso sono 17 i residenti «regolari», ovvero quanti hanno acquistato la porzione di villino prima della confisca. A seguito della quale, 33 sono state assegnate a carabinieri, polizia e guardia di Finanza, mentre il resto – 29 alloggi – al Comune di Guidonia Montecelio. A tutte le unità catastali – alcune delle quali irregolari, commerciali in particolare, da sanare – vanno aggiunti i servizi, dai garage ai negozi. Dal totale di 177 unità vanno sottratti la ventina di appartamenti occupati, che dovrebbero venire sgomberati la prossima settimana ad iniziativa del ministero degli Interni.
All’esame del tribunale la villa di Marco Simone e le due Ferrari confiscate
L’udienza risale al 30 giugno 2014. Si discute dei ricorsi contro la sentenza della Corte di appello di Roma del 9 maggio 2013 contro Giuseppe, Enrico, Massimiliano, Domenico, Pasquale, Giovannina, Salvatore e Liliana Casamonica.
Si oppone il procuratore generale Paolo Canevelli ritenendoli inammissibili.
Quel che segue riporta testualmente la trattazione del ricorso di Giuseppe Casamonica, il capofamiglia.
Quanto al profilo della pericolosità sociale, oltre alla condanna per reato associativo finalizzato al narcotraffico, venivano valorizzati pregiudizi per lesioni e violazione della legge sugli stupefacenti.
Non risultava che il proposto avesse mai svolto attività lavorativa lecita, se non in tempi risalenti e per redditi modesti.
Anche con riferimento al più recente periodo 2003-2008 i redditi lordi dichiarati dal CASAMONICA Giuseppe continuavano ad essere bassi (veniva registrata una punta massima di euro 18.211,00 per l’anno 2007); né, come sostenuto dalla difesa, il proposto aveva potuto fruire dell’apporto economico della moglie, che non risultava aver presentato la dichiarazione dei redditi.
La posizione reddituale dichiarata non poteva, quindi, in alcun modo consentire di far fronte al sostentamento quotidiano di una famiglia con quattro figli e, al contempo, di acquistare immobili (quello di vicolo di Porta Furba acquistato nel 2004 e la villa a schiera di Guidonia Montecelio acquistata nel 2007), numerose auto di lusso e quote societarie.
Sulla villa di Guidonia, in particolare, non erano stati documentati il preliminare di vendita e la successiva attività di giudizio contro il proprietario CIPRELLI, né questi aveva lamentato alcunché: l’immobile doveva quindi ritenersi nella disponibilità effettiva della TOLLI, che l’aveva acquistato con i proventi illeciti del marito.
Anche le autovetture confiscate, tra le quali due Ferrari, dovevano considerarsi nella effettiva disponibilità del proposto.
Per la titolarità di quote societarie veniva richiamata la motivazione del primo decreto.
Da ciò, per costante orientamento di questa Corte, deriva che è sindacabile la sola “mancanza” del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 1, Sentenza n. 8641 del 26.2.2009, Giuliana, Rv. 242887).
2.1. Nel caso in esame, tutti i ricorrenti, al di là del formale riferimento a violazione di norme, hanno essenzialmente e unicamente dedotto vizi della motivazione del provvedimento, censurando l’iter logico seguito dalla Corte di Appello di Roma nel provvedimento confermativo del primo decreto del Tribunale, che, invece, risponde pienamente ai requisiti prima enunciati.
2.1.1. Ed invero, il puntuale riferimento a recenti vicende penali coinvolgenti la maggior parte dei ricorrenti, anche in forma associativa, l’approfondimento delle caratteristiche logistico-funzionali del cd. “fortino” di vicolo di Porta Furba, teatro delle quotidiane cessioni al minuto di stupefacenti, e la descrizione di taluni episodi illeciti consentono di ritenere il percorso motivazionale sviluppato nel provvedimento de quo del tutto aderente alla previsione normativa anche sotto il profilo dell’attualità della pericolosità sociale.
A tal proposito, non possono condividersi gli asserti difensivi circa la pretesa erroneità di considerare, ai fini del giudizio di pericolosità dei proposti, la sentenza di condanna per il reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90 in quanto non ancora irrevocabile, atteso che, non sussistendo alcuna pregiudizialità tra il procedimento penale e quello di prevenzione, è sempre possibile utilizzare in quest’ultimo, ai fini del suddetto giudizio, elementi di prova o indiziari tratti da procedimenti penali non ancora conclusi.