Dal procuratore della Repubblica di Tivoli, Francesco Menditto, riceviamo e pubblichiamo:
AL FINE DI ASSICURARE IL DIRITTO di cronaca costituzionalmente garantito, comunico che su richiesta della Procura di Tivoli, il Gip dello stesso Tribunale ha disposto l’archiviazione nei confronti di D. S. sottoposta a procedimento penale per la morte di L. S. avvenuta in Monterotondo il 19 maggio 2019.
E’ doveroso, per assicurare un’informazione adeguata e “trasparente” riportare nel dettaglio i fatti accertati, anche alla luce del contesto in cui sono avvenuti da cui emerge che la morte di un uomo è avvenuta come disperato epilogo della ripetuta violenza da questi inflitta a tutte le donne della sua famiglia per anni.
Dalle indagini è emersa una terribile realtà, accertata in molte altre indagini della Procura, in cui le donne sono state in balìa della violenza di un uomo della famiglia. Nessun effetto aveva avuto la condanna di costui per maltrattamenti e la sua detenzione in carcere perché, al suo rientro in casa, tutto era ritornato esattamente come sempre. Le donne sono state per anni colpite nella loro identità e dignità, costrette a soggiacere e ad assecondare l’uomo.
Ne esce un quadro sconfortante perché le donne non sono state sostenute, né vi sono state segnalazioni alle autorità di quanto avveniva, neanche il giorno in cui vi è stato l’ennesima espressione della violenza. Non denunciavano per paura delle ritorsioni violente dell’uomo, di non essere credute e, perfino, temendo la compagna di L.S. che le istituzioni potessero toglierle la figlia a causa della denuncia.
E’ stato di grande rilievo, ai fini delle doverose valutazioni, accertare nel dettaglio i fatti accaduti e il contesto nel quale sono avvenuti che si inquadrano in quello tristemente noto della violenza contro le donne. Violenza che, come emerge dalle indagini in corso e dai dati:
– è estremamente diffusa, per l’ISTAT una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza;
– ha profonde radici culturali e sociali e si sviluppa in un clima di omertà ritenendo erroneamente che sia un fatto privato;
– è poco denunciato (per l’ISTAT solo una donna su dieci denuncia) anche perché manca un adeguato contesto di sostegno;
– pur costituendo un reato, anche punito gravemente, non sempre è percepito come tale, ma deve essere denunciata perché gli strumenti per contrastarla ci sono e vanno solo utilizzati al meglio.
IL RESOCONTO DI DOMENICA 19 MAGGIO 2019
– Verso le ore 5.00, l’uomo (L.S.) , dopo aver passato la notte fuori a bere, rientrava in casa sbattendo violentemente il portone del palazzo, colpendo la porta, svegliando tutti i familiari: la compagna, la madre (con gravi problemi di salute e “cieca”), la figlia; terrorizzava le presenti, percuoteva le tre donne, tanto da indurle a chiedere aiuto a due sorelle dell’uomo che abitavano vicino;
– L.S. imponeva alla compagna di andare a compragli altre birre, continuando a minacciarla di morte, anche davanti alle sorelle nel frattempo sopraggiunte; appariva evidentemente sotto l’effetto “di alcool e stupefacenti, si muoveva a scatti veloci, era ingestibile, minacciava tutte di morte”;
– la giovane figlia di diciannove anni (D.S.), che era rientrata in casa la sera (sabato 18) dopo avere lavorato (pur frequentando regolarmente e con profitto la scuola), si rifugiava “a piangere nella sua stanza, come già le era accaduto molto spesso nel recente passato”;
– verso le 7.00, la compagna dell’uomo decideva di assecondarlo e andava a comprare da bere come impostole “sperando così di poterlo placare, mentre D.S. – rimasta in camera sua – lo ascoltava nel frattempo infierire contro la nonna”;
– ricevute le birre l’uomo, sempre più ubriaco, continuava a dare in escandescenza e ad intimorire tutti tanto che le donne, disperate, decidevano di fuggire, portando via anche l’anziana madre dell’uomo, e dicevano che l’avrebbero denunciato;
– l’aggressività di L.S. aumentava tanto che la ragazza “dichiarava di avere sentito urla crescenti nell’altra stanza e sua zia che implorava all’indirizzo di suo padre perché non facesse del male alla madre non vedente”;
– mentre le donne tentavano di andare via, l’uomo sull’uscio di casa bloccava la porta per non farle scappare; seguiva un’ulteriore aggressione da parte di L.S., all’altezza dell’ascensore, dove tutte e quattro le donne stavano cercando di entrare per fuggire; l’uomo strattonava “sua madre, nel tentativo di trascinarla nuovamente dentro l’abitazione” e con una bottiglia sferrava colpi. La ragazza “nel tentativo ultimo di salvare la nonna sballottolata da suo padre, provava a staccarlo da lei con forza, il tutto in mezzo a urla, minacce, pianti e grida, nonché schiaffi e spintoni tra D. ed il padre, per consentire al resto della famiglia di guadagnare l’uscita”;
– la ragazza terrorizzata, mentre usciva, prendeva “l’unica cosa con la quale potevo difendermi, cioè un coltello che avevo in camera, sulla mensola e me lo sono messo nella tasca del pigiama… ero veramente terrorizzata. Temevo che mio padre potesse ucciderci tutte ed in particolare mia madre; avevo capito che la situazione era degenerata ed era ormai gravissima”;
– le donne, riuscendo finalmente a darsi alla fuga, chi in ascensore, chi giù per le scale condominiali, si nascondevano fuori dal palazzo, dietro un muretto, con la giovane D. ancora in pigiama ed in lacrime, in preda ad una crisi di panico, tutte nella speranza di trovare un passaggio da qualcuno per recarsi dai Carabinieri e sporgere la denuncia;
– senza che nessuno dei vicini chiamasse le forze dell’ordine, nonostante le urla, l’uomo scendeva per inseguire le donne, le vedeva nascoste e si “dirigeva furiosamente e minacciosamente verso di loro, gridando di farla finita e di rientrare immediatamente a casa… Al rifiuto, l’uomo afferrava la madre per un braccio e poi per le spalle, strattonandola e trascinandola a sé, con l’anziana che urlava, mentre la compagna si frapponeva per salvare la suocera, colpendo il compagno ma costui la colpiva, a sua volta, con un pugno sulla faccia e sulla spalla. Da questo momento in poi, mettendosi in posizione da pugile, qual era stato in passato, l’uomo cominciava a colpire la compagna con una serie di schiaffi e di pugni al costato ed alla spalla, mettendola contro il muro, tanto da farle temere di poter essere questa volta uccisa”;
– in questa escalation di violenza la ragazza, che fino a quel momento aveva cercato con l’aiuto delle zie, da una parte di difendere la nonna e dall’altra di cercare di bloccare il padre anche colpendolo alle spalle e sferrandogli alcuni pugni, davanti alla madre in difficoltà e vista la gravità della situazione, urlandogli “Stai fermo! Basta“, estraeva dalla tasca del suo pigiama il coltello, che aveva e avvicinava la lama alla testa del padre, all’altezza dell’orecchio destro, per farlo smettere e impaurirlo. In quel momento l’uomo riportava una ferita all’altezza dell’orecchio (sulla ulteriore dinamica si dirà oltre); – a questo punto l’uomo cominciava a perdere sangue, la ragazza lasciava cadere per terra il coltello, gridando: “che ho fatto mamma… papà scusa… ti prego non morire ti voglio bene”.
Il contesto in cui avvenivano i fatti: le violenze di L.S. nei confronti della famiglia
Al fine di collocare i fatti accertati si ricostruivano i rapporti tra l’uomo e le donne della famiglia.
La madre di L.S. ha fermamente voluto esser ascoltata dopo i fatti dal PM di turno e dal Procuratore, nonostante l’età ed i postumi di un’ischemia che l’hanno resa non vedente:
– “…come sempre, lui è tornato a casa all’alba in condizioni pietose, sbavava ed urlava fortissimo, sbattendo tutto. Ci ha ordinato di andare a prendere altre due birre una delle quali voleva spaccarla sulla testa di sua sorella (mia figlia). Quella mattina avevamo pensato di andare via da casa e di fare una diffida, ma eravamo convinte che non sarebbe servito a niente perché una volta terminata qualsiasi misura nei suoi confronti ci sarebbe venuto a cercare anche in capo al mondo. Ma quella mattina non ce la facevamo proprio più..”;
– “sono vent’anni che mio figlio ha cominciato ad essere sempre più prepotente ed a comandare su tutti noi. Lui faceva pugilato ma da quando è morto il padre ha cominciato a bere, a drogarsi, anche se non escludo possa avere cominciato anche prima; questo succedeva anche a casa. Lui da quel momento ha cominciato ad essere sempre più aggressivo. Da un periodo più tranquillo siamo passati ed abbiamo vissuti momenti terribili. Sono tanfi anni che soffriamo, sempre in silenzio in quella casa. Sempre con la paura di poter essere uccisi da un momento all’altro. Abbiamo nascosto tutti i coltelli perché lui ci ha più volte minacciato di morte ed anche di compiere gesti autolesionistici. Sono anni che questo accadeva tuffi i giorni, lui usciva e beveva forte, tornava ed era come un animale, i denti li digrignava urlando che ci avrebbe ammazzato tuffi; batteva i pugni, distruggeva vetri, i/ portone, e spaccava oggetti;
– “E’ stato terribile e faticosissimo rientrare ogni giorno a casa sapendo che c’era lui..”;
– “tante volte ha percosso la compagna; D. tante volte era chiusa in un angoletto per vedere cosa succedeva”;
– “Siamo state tutte ai suoi piedi ubbidendo sempre ai suoi ordini…Insomma, è stato un continuo di tormenti e di dolori”.;
– …ci incuteva terrore. Ti metteva paura solo a guardarlo….Non posso perdonarlo per come ci ha fatto vivere questi anni. Ho pianto tanto”.
Quanto ai rapporti tra L.S. e la figlia emergeva un quadro “di terribili momenti vissuti in famiglia durante tutto il corso della sua infanzia e adolescenza, a causa della sua terrorizzante presenza.”. In particolare
– la sera prima del delitto, mentre studiava (D. frequentava il 50 anno del liceo grafico ed era in procinto di sostenere l’esame di maturità), aveva sentito il padre- urlare ed aggredire la madre, come, purtroppo, spesso accadeva: “sentivo urla di dolore di mia madre che stava subendo l’ennesima aggressione fisica. Questo succede sempre, cioè un giorno sì e uno no’!”;
– l’uomo, disoccupato, era anche abituale consumatore di alcolici e di sostanze stupefacenti: “… Ho questi terribili ricordi sin da quando ero piccola…una volta, ricordo che avevo circa 5 anni, io e mia madre dovevamo scendere da casa; lui ha preso mia madre per il collo, la stava letteralmente strangolando fino a quando l’ha sbattuta per terra”. Le violenze fisiche e morali avevano come bersaglio anche la stessa ragazza: “Anche io ho preso le botte, è capitato tante volte. In tutte le occasioni in cui sfogava la sua furia.. io preferivo chiudermi in camera e dedicarmi allo studio; questo perché studiare è stata l’unica speranza di uscire da questa mia condizione e di prospettarmi un futuro migliore”. Naturalmente la ragazza raccontava anche i momenti belli passati col padre che, col tempo, divenivano sempre più rari; la passione per lo sport ripresa dal padre; i suoi sentimenti verso il genitore.
Quanto ai rapporti con le “altre” donne è emersa una vere e propria “condizione di sottomissione psicologica cui erano ormai sottoposte, quasi una sorta di terrore ambientale”;
– nonostante il carcere patito nel 2014, in seguito alla denuncia ed un periodo di apparente tranquillità, la speranza di un cambiamento di L. S. era stata presto frantumata e l’uomo aveva lentamente ripreso a comportarsi come prima, ricominciando a bere ed a drogarsi
– le violenze, protratte per anni si erano accentuate negli ultimi giorni;
– la compagna dichiarava di non avere denunciato per paura di ritorsioni e per il timore che le fosse tolta la figlia dalle istituzioni allertate della vicenda;
– L.S. era da tempo disoccupato e viveva grazie ai pochi guadagni della compagna, priva di un lavoro fisso. La figlia svolgeva dei lavori per provvedere alle sue esigenze.
La C.T, medico legale: le cause del decesso
Il medico legale ha individuato la causa del decesso in una lesione a una arteria causata dal citato coltello, con copiosa emorragia. La natura della ferita e la zona attinta hanno portato il medico legale ad escludere che vi sia stata intenzionalità nel gesto e che nelle fasi concitate descritte l’uomo si fosse voltato di scatto favorendo la penetrazione della lama.
Si accertava la presenza nel sangue di residui di cocaina e di un tasso alcoolmetrico ben superiore all’ubriachezza (3,11 g/l).
La qualificazione giuridica dei fatti accertati (sintesi)
È stato escluso l’omicidio volontario per assenza di elementi alla luce dei fatti accertati: “Quello avvenuto appare, piuttosto, un inatteso epilogo” all’esito della condotta violenta dell’uomo.
Avendo la ragazza tentato di interrompere l’assalto del padre appoggiandogli il coltello all’orecchio, si potrebbe configurare l’ipotesi di reato prevista dall’art. 586 c.p. (volontà di ferire causando la morte attraverso una condotta comunque “colposa”) cioè al più una condotta imprudente, in quanto la ragazza, minacciando il padre col coltello, avvicinato pericolosamente all’orecchio “in una fase di tale concitazione in cui tutti i corpi erano aggrovigliati, e dove erano in atto disperati tentativi di difesa contro l’aggressione dell’ex pugile che a scatti si muoveva qua e là e colpiva la compagna”.
Il Giudice per le indagini preliminari, concordando con la valutazione della Procura ha ritenuto applicabile la causa di giustificazione della legittima difesa
La ragazza ha commesso il fatto:
A) costretta dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta
– L.S. nel momento in cui è stato ferito “era fuori di sé, in stato di totale alterazione ed ubriachezza. più violento che mai, con gli occhi spiritati. Già furioso dall’alba, in un evidente crescendo di aggressività, aveva inseguito le congiunte per strada e le aveva strette a sé costringendole a seguirlo a casa, ma la situazione era degenerata fino a che l’uomo era arrivato a strattonare e stringere con forza il braccio della madre, per poi cominciare a prendersela violentemente con la compagna. Costei veniva picchiata e strangolata. messa all’angolo dall’ex pugile che, ben consapevole di come sferrare i colpi, si era addirittura messo in posizione, come avendo davanti a sé dei nemici, non riconoscendo quasi i suoi familiari, senza possibilità alcuna che questi potessero interrompere quella azione, tanto da far pensare all’indagata, ben consapevole della follia e violenza paterne, che di lì a poco sua madre potesse essere uccisa o gravemente lesa”;
– “Non vi è dubbio alcuno, dunque, sulla base dell’inequivoca ricostruzione dei fatti, che la ragazza diciannovenne si sia trovata di fronte a un pericolo imminente e attuale per la sua vita, per quella della madre e della nonna. Un pericolo imminente e attuale derivante dall’escalation violenta della vittima, iniziata all’interno dell’appartamento e proseguita dopo avere interrotto la fuga delle donne e averle affrontate e aggredite con le descritte modalità. Né di poca rilevanza è la circostanza che l’aggressione provenisse da un uomo con grande forza fisica, ex pugile, aduso ad adoperare la violenza, in condizioni di ubriachezza e visibilmente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, tali da accrescere la sua potenza fisica e la sua assenza di controllo”.
– la ragazza, di appena diciannove anni, terrorizzata per le aggressioni ai danni suoi, della madre e dell’anziana nonna, comprensibilmente e istintivamente prelevava il pugnale, di certo non immaginando di usarlo, tentando piuttosto di scappare da casa. Solo successivamente, dopo quanto già descritto l’indagata estrae il coltello. cioè nel momento in cui vede» in pericolo imminente la vita della madre e di sé stessa. e ancora compie ‘il gesto solo per minacciare.
B) in presenza di una difesa proporzionata all’offesa
L.S. quella mattina, stava ponendo, infatti, a serio rischio la vita delle donne “che, data l’escalation di aggressività, temevano seriamente di poter essere uccise”.
L’uomo “per anni ha imposto il terrore negli animi di tutte le figure femminili della sua famiglia, per la paura indotta in loro di poter essere aggredite ed uccise in ogni momento, per la sua terrificante forza fisica, impossibile da contenere… deve necessariamente concludersi che la reazione esercitata dalla figlia per evitare un drammatico epilogo dell’aggressione portata nei suoi confronti, della madre e della nonna – sia nella forma della minaccia con il coltello appoggiato all’orecchio dell’uomo, (con l’ipotizzato colposo deragliamento della condotta sfociata poi nella morte dell’uomo), o comunque nella forma dell’aggressione volontaria a mezzo di colpo sferrato all’orecchio – sia stata del tutto proporzionata all’offesa (dovendosi assolutamente escludere qui, per come il fatto è stato ricostruito e per tutte le considerazioni fin qui svolte, l’ipotesi di un eccesso colposo così come prevista dall’art.55 c.p.)”.