di GIULIANO GIRLANDO

Giancarlo Siani

MA CHE C’ENTRANO LA MORTE di Giancarlo Siani e il suo ricordo se risalgono al 23 settembre 1985, ovvero a 35 anni fa a Napoli? Oltretutto qui, visto che chi scrive lo fa in un sito che riguarda le storie della provincia di Roma e in particolare del quadrante Nord-Est?
Prima che questa domanda la rivolga a noi l’attento lettore di hinterland, provo a rispondere cercando di non essere noioso e ripetitivo. Questo sito ha una missione che è quella di informare, lo facciamo da molto tempo e ci siamo presi per questo critiche e querele. Quando abbiamo scritto delle infiltrazioni mafiose e delle storie delle mafie tra Tivoli e Guidonia, ci è stato detto che eravamo “romanzieri” e che il buon nome di queste città della provincia veniva infangato. Poca roba rispetto a quelle che sono state negli ultimi anni le varie operazioni anti-mafia coordinate dalla Dia in questo quadrante. Non eravamo romanzieri, non eravamo visionari, ma avevamo occhi per guardare e una missione che è soprattutto una vocazione che è quella di informare.
Giovane cronista del Mattino, giornalista senza patentino, non aveva compiuto nemmeno 30 anni quando venne ucciso dalla camorra, Giancarlo Siani disse che «la mafia non si batte solo con le forze dell’ordine, i cittadini per scegliere da che parte stare devono sapere e allora il ruolo del giornalista è questo: informare».
Noi lo facciamo senza un editore, lo facciamo per senso civico e come missione e siamo oggi liberi di poter scrivere senza nessun condizionamento «politico» ed economico.
Lo facciamo perché Fortapasc è in ogni provincia, la mafia intesa prima di tutto come modello culturale è radicata soprattutto nelle province, quelle abbandonate, dimenticate e anche contaminate da danni ambientali, cementificazione selvaggia e degrado sociale.
Ad oggi né Tivoli né Guidonia hanno una buona cartolina di presentazione e non farò certo la lista dei responsabili politici che è lunga, ma questo ricordo del giorno della morte di Giancarlo Siani è un invito a chi ci legge e a chi come cittadino ha il diritto di essere informato.

Nonna manda il nipote a vendere l’eroina 

Dodici anni, già coinvolto nel “giro” dell’eroina. Ancora una storia di “muschilli”

Il giorno prima di morire, sul Mattino del 22 settembre 1985, Giancarlo Siani scrisse il suo ultimo pezzo. Lo pubblichiamo.

«MINI-CORRIERE» DELLA DROGA per conto della nonna: dodici anni, già coinvolto nel “giro” dell’eroina. Ancora una storia di “muschilli”, i ragazzi utilizzati per consegnare le bustine. Questa volta ad organizzare il traffico di eroina era una “nonna-spacciatrice”. Era lei a tenere le fila della vendita con altre due persone ed il nipote.
La casa-basso nel centro storico di Torre Annunziata era diventata il punto di riferimento per i tossicodipendenti della zona. Al ragazzo il compito di portare le dosi ed incassare i soldi. A scoprire il traffico di droga sono stati i carabinieri della Compagnia di Torre Annunziata che hanno arrestato la donna, Maria Cappone, sessant’anni e Luigi Cirillo, di 34 anni, anche lui coinvolto nel “giro”.
Un altro uomo, parente della donna, è stato identificato ma è riuscito a scappare. Il ragazzo è stato affidato ai genitori. La madre, impiegata comunale a Torre del Greco, era all’oscuro di tutto. Sapeva che il figlio la mattina si recava dalla nonna ad aiutarla nei servizi di casa. In realtà l’aiuto consisteva nel fare da staffetta per consegnare le bustine. I carabinieri da diversi giorni tenevano sotto controllo la casa di via Carlo III, nel centro storico di Torre Annunziata. Avevano osservato tutti i movimenti dei tre spacciatori e avevano notato anche il ruolo che era stato affidato al ragazzo (minorenne e quindi non imputabile: nessun rischio se veniva trovato con l’eroina).
L’altro giorno i militari, diretti dal capitano Sensales, sono intervenuti, hanno bloccato Luigi Cirillo (aveva in tasca una bustina d’eroina) ed hanno fermato il dodicenne che al pretore di Torre Annunziata, Luigi Gargiulo, ha confermato il suo ruolo, l’attività della nonna e degli altri due spacciatori. Il Cirillo contattava i tossicodipendenti, stabiliva il prezzo e fissava l’appuntamento davanti all’ingresso di Maria Cappone. Al ragazzo veniva affidata l’eroina, la consegnava ai tossicodipendenti ed incassava i soldi. Quando i carabinieri sono intervenuti la donna di sessant’anni è riuscita ad allontanarsi, ma è stata arrestata dopo qualche ora.
L’altro parente della donna, invece, è riuscito a sfuggire all’arresto; contro di lui la Procura della Repubblica di Napoli ha emesso un ordine di cattura per detenzione e spaccio di droga. I militari hanno sequestrato altre due bustine di eroina. Secondo le indagini i tre non avevano collegamenti con clan camorristici. L’appartamento era un centro di vendita al “dettaglio”. La madre del ragazzo (ogni mattina per lavoro si spostava a Torre del Greco) era certa che il figlio andasse a trovare la nonna perché ammalata. Li chiamano “muschilli”. Sono minori, non imputabili. Li chiamano i “muschilli”, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby. Un “lavoro” da intermediario, un compito di appoggio. Il ragazzo di dodici anni di Torre Annunziata non è né il primo né l’unico caso. A maggio scorso il caso di Gennarino di Secondigliano, a dieci anni forzato della droga. Ma tanti altri ancora. Quanti ne sono? Impossibile azzardare un dato statistico, certo è che il fenomeno esiste in proporzioni molto più vaste di quanto si creda.
Gli spacciatori li utilizzano per non correre rischi. I “muschilli” sono agili, si spostano da un quartiere all’altro e soprattutto non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ma soprattutto sono minorenni: anche se trovati con la bustina d’eroina in tasca non sono imputabili. Ed ecco che il meccanismo perverso dello spaccio di droga li coinvolge. Generalmente si muovono seguiti a poca distanza dal “manager-spacciatore” contattato il tossicodipendente parte la staffetta con la droga, consegna, incassa i soldi e torna. A Torre Annunziata la stessa tecnica, a dirigere il ragazzo era la nonna.
Come del resto faceva cinque o sei anni fa quella madre a San Biagio dei Librai a Napoli che si serviva dei tre figli per portare in strada l’eroina, fino a quando non è stata arrestata. Ragazzi, molto spesso bambini, già inseriti in un “giro” di droga. Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere, è difficile che possano imboccare altre strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto. E in provincia di Napoli lo spaccio della droga è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra. A Torre Annunziata un traffico che fino all’agosto dell’anno scorso era direttamente gestito dal boss Valentino Gionta. Dai grandi distributori alla vendita al dettaglio ed in questa seconda attività è più facile organizzarsi in proprio, poche bustine per guadagnarsi da vivere ma l’eroina entra in casa diventa familiare, anche per i ragazzi. Un fenomeno diffuso contro il quale c’è stata già la ribellione delle madri antidroga dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Lì dove l’eroina ha ucciso, ha distrutto giovani e famiglie.
“Basta con la droga” lo hanno gridato nelle piazze, lo hanno detto a Sandro Pertini, lo ripetono ormai da tempo per ottenere strutture, comunità terapeutiche, un aiuto per liberarsi dalla “piovra”. E nella provincia il malessere, il degrado, l’abbandono sono sempre più acuti. Dove gli intrecci tra camorra e droga sembrano imbattibili. Dove alla cronica carenza di tutto, dalle case al lavoro, agli ospedali, si aggiunge anche il ritardo negli interventi per il recupero dei tossicodipendenti. A Torre Annunziata e nella zona vesuviana si aspetta una comunità terapeutica, una “Zattera”, un presidio sanitario da anni, ma fino ad oggi non è stato realizzato niente.                                                                                                                                               (Giancarlo Siani)