di TOMMASO VERGA
DOCCIA TIEPIDA SULLE ATTESE della «spa Acque Albule» nell’udienza del 21 marzo contro i “laghetti del Barco”. Un getto d’acqua azionato dalla sentenza della Corte d’appello di Roma – formata dai magistrati Lucio Bochicchio (presidente), Laura Avvisati e Silvia Di Matteo (consiglieri) –, che ha adottato provvedimenti non definitivi ma sostanzialmente favorevoli ai “laghetti”.
A iniziare dal responso a sé per l’associazione culturale «La Siesta», che aveva impugnato l’esecuzione della sentenza (sfavorevole) del tribunale di Tivoli perché non citata nel giudizio di primo grado.
Per le associazioni Eden, Bambù e Parco Tivoli, e per la società agricola H2SO, la Corte d’appello di Roma «ha sospeso l’efficacia della stessa sentenza soltanto limitatamente alla condanna al risarcimento del danno per € 700.000,00, mentre non l’ha sospesa per quanto riguarda il divieto di balneazione non risultando sul punto tale statuizione affetta da “vizi palesi”».
Trattasi di valutazione molto sommaria, nel senso che, in questa sede, la Corte d’appello non potrebbe attuare una disamina approfondita ed esaustiva dei motivi di impugnazione sul punto, dovendosi appunto limitare al rilievo di «vizi evidenti». Tutto è stato quindi rimandato alla decisione finale fissata per l’udienza del 23 novembre 2023.
Allo stato, quindi, l’esecuzione della sentenza del tribunale non è stata sospesa per quanto riguarda il divieto di balneazione nei “laghetti del Barco”.
Infatti, con il provvedimento del 2 aprile, il giudice dell’esecuzione, dottoressa Maria Grazia Patrizi, a fronte della richiesta della «spa Acque Albule» di attuare coattivamente il divieto di balneazione e cioè di impedire – esclusivamente – che si faccia il bagno negli invasi dei laghetti, e dell’opposizione della difesa di questi ultimi, che hanno eccepito l’inammissibilità della richiesta per essere all’evidenza impossibile impedire di fatto simili condotte, ha delegato al geologo Roberto Salucci l’arduo compito di determinare le modalità di esecuzione della sentenza, sempre limitatamente, com’è ovvio, al solo uso di balneazione, ferma restando la liceità degli altri usi delle acque e l’esclusione dello spossessamento dei terreni dove insistono gli invasi delle sorgenti naturali delle acque solfuree.