di TOMMASO VERGA
LA SUPREMA CORTE HA DETTO STOP. Questa volta il verdetto è inappellabile, non si deve quindi attendere la Commissione tributaria regionale (CTR in sigla) né altri, perché il responso è contenuto nel testo dell’ordinanza del 9 giugno della Corte di cassazione, e quindi non si presta a ricorsi. E’ come se i giudici avessero deciso di escludere l’effetto pratico del rimando, ossia quello di allungare la «coda dei buffi» dei padroni delle cave di travertino, con l’effetto di far aumentare un credito ormai superiore ai 40 milioni di euro a favore del Comune (equivalente ai debiti del municipio) anche se il capo dell’amministrazione e il suo «cerchio magico» non mostrano di voler riscuotere.

Delia Corsi, amministratore unico della «Tre Esse Italia»

Les jeux sont faits. Richiamo in lingua d’oil necessario per far intendere il sindaco Michel Barbet (quello che passerà agli aneddoti contenuti nella raccolta «Smarronate dei sindaci» per il “debito presunto” da colmare «previo il giusto accertamento dell’esatto ammontare»); nonché l’assessora Elisa Strani (un’avvocata) secondo la quale «il contenzioso con le cave sta strozzando i bilanci»; involontario umorismo: se i padroni delle cave avessero versato le imposte non ci sarebbe nessun cappio al collo del Comune.
Si vedrà se i due big (sindaco di nome & sindaco di fatto), con l’ausilio dell’assessore ai Quattrini Nicola Sciarra, useranno ora la leva del «recupero crediti», che, anchilosata per il Covid, si potrà ri-azionare dal 30 giugno, oppure proseguiranno le riunioni della giunta (e delle commissioni consiliari) presenti i padroni delle cave lì pronti a suggerire il da farsi.
Da ultimo, infine, incuriosisce verificare come l’ordinanza della Cassazione influirà sul tamburino stagionale della «compagnia dei 5stelle» – quella che 4 anni fa esordì con il poemetto “Dobbiamo chiudere le cave di travertino, distruggono il nostro territorio” –, poi revisionato nella commedia “Supina acquiescenza alle richieste dei padroni”: continueranno a recitare tale versione, a rappresentare altresì la commedia nei corridoi della Regione Lazio?
E l’opposizione (per dire) – non quella formatasi dopo, ma quella «prevista»: Pd, Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia –, presenterà al sindaco grillino altre «interrogazioni urgenti» sulla necessità di far pagare meno tasse ai padroni delle cave affinché possano aumentare i profitti? O continuerà a non dire «far pagare» e basta?
Si è detto del cessato rimando delle decisioni alla CTR. Che trova una spiegazione ulteriore ancora nella stessa ordinanza della Cassazione. Nella quale si ribadisce che il «valore venale» dei terreni a Guidonia Montecelio è acquisito da decenni, dal 2007 per la precisione. Dando soddisfazione alle tesi sostenute dalla Tre Esse Italia, concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del municipio.

Estrazione del travertino alle «Fosse»; in alto, si scava in un lago d’acqua minerale (foto di Alberto Marchetti)

Infatti, l’ordinanza della Cassazione (la numero 16118 del 9 giugno 2021; presidente Oronzo De Masi, Stefano Pepe relatore) giunge al termine dell’esame di un ricorso della Tre Esse contro un giudizio della Commissione tributaria regionale risalente al 4 luglio 2017. Beneficiaria la «sas R.E.R. 82». Provvedimento sul quale la CTR «aveva rideterminato la base imponibile su cui calcolare l’ICI dovuta dalla contribuente per i terreni adibiti ad attività estrattiva sulla base della delibera della Giunta comunale n. 174 del 2008». Ovvero, quella che stabiliva 7,82 euro al metro quadro. Votata esclusivamente dalla giunta e dallo stesso sindaco Lippiello.
L’ordinanza della Cassazione rovescia l’assunto (né si presta a interpretazioni). Perché, irrevocabilmente, fissa che tra le due delibere, artificiosamente messe in alternativa tra loro, deve ritenersi valida la 23/2007 approvata dal Consiglio comunale di Guidonia Montecelio. Altresì valutando adeguato l’importo della tassazione: per ICI/IMU di ogni metro quadro i padroni delle cave debbono versare € 54,27.
E quella della giunta-Lippiello del 2008? Non conta. Perché «mai entrata in vigore – precisa la Suprema Corte –, per come eccepito nel corso del giudizio dalla ricorrente (la Tre Esse Italia, ndr), in quanto non erano state approvate dal Consiglio comunale le relative tabelle».

La Corte di cassazione che non dà retta alle interviste dei virologi del travertino; alle prese di posizione, ai penultimatum, alle virtù taumaturgiche (in miseria) del Centro per la valorizzazione del travertino romano (giustamente tramutato in Assofosse), che ignora persino i teoremi dei politici del mercato e di Montecitorio. Per non dire gli ammaestramenti catechistici dei giornalisti professionisti… La Corte di cassazione che scrive «dovete pagare». Eh! Davvero non ci sono più le certezze di una volta.