Peppe D’Alterio detto ‘O Marocchino

di TOMMASO VERGA

ALL’INIZIO, SULLO SFONDO, IL “MOF”, i capannoni del mercato ortofrutticolo di Fondi. Regolamentato dalla “legge D’Alterio”, la famiglia impegnata ad accumulare i capitali destinati a investimenti nei diversi settori dell’economia, l’edilizia in particolare, senza farsi mancare i terreni del relativo latifondo. Il meccanismo, ben sperimentato, prevedeva il pagamento del ticket, tariffa variabile da 100 a 500 euro a viaggio a seconda del valore della commessa, indispensabile per ottenere la concessione del «via libera» agli automezzi. Il benestare agli autisti veniva rilasciato dal ras Giuseppe D’Alterio, detto ‘O Marocchino – ai “domiciliari” dallo scorso 9 settembre –, sodale del nomade leghista per Salvini Costantino Di Silvio Cha Cha, protagonista del processo “Alba Pontina”, ma soprattutto suocero di Michele Palumbo, 69 anni, di Villaricca, titolare dei 17,6 milioni di euro confiscati questa mattina dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di Finanza di Napoli su disposizione della Sezione misure di prevenzione del tribunale campano. Stando alle indagini, si tratta di beni che costituiscono parte del patrimonio del clan Mallardo.

L’inchiesta ha accertato che la “regola della tassa” funzionava perfettamente, riconosciuta e accettata senza inciampi. Un sistema che la famiglia D’Alterio, nonostante le inchieste e i sequestri degli anni passati, era riuscita a ricostruire “La Suprema”, società attraverso la quale controllare l’indotto legato ai trasporti da e per il Mercato ortofrutticolo di Fondi.

In realtà, il clan Mallardo di inciampi ne ha subito non uno soltanto. Alla fine dello scorso luglio, il 25 per la precisione, a seguito di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, Mallardo perdeva Alfredo Aprovitola, il riconosciuto commercialista del clan, figlio di Domenico Aprovitola, il ‘tesoriere’, componente del vertice sin dalla fondazione dell’organizzazione camorrista. Oltre 20 i milioni di beni sottoposti a confisca tra le province di Napoli, Caserta, Frosinone e Latina. Un patrimonio composto da fabbricati (un centinaio), terreni, quote societarie, autovetture con l’aggiunta di numerosi rapporti finanziari.
«Al riguardo, Alfredo, classe 1969, laureato in Economia e commercio, occupandosi della gestione delle finanze del clan, avrebbe assunto l’incarico di commercialista delle varie attività imprenditoriali soprattutto nei settori immobiliare ed edilizio». Defaillances pesanti che hanno sottratto alla banda non soltanto le persone ma principalmente i “colletti bianchi”, quadri intermedi che impediscono alla famiglia di reagire all’offensiva delle forze dell’ordine e dei tribunali.

Michele Prestipino

La doppia azione repressiva, che ha causato l’indebolimento del clan, è da annoverare come risultato decisamente positivo, che però, stando a quanto dichiarato alla Commissione parlamentare d’inchiesta il 29 gennaio 2020 dal procuratore facente funzioni di Roma Michele Prestipino e dal sostituto procuratore Corrado Fasanelli, richiede un ulteriore e maggiore sforzo, attentamente distribuito sul territorio regionale: «Il Lazio e non soltanto il basso Lazio è largamente occupato dalle reti d’impresa del clan Mallardo – dichiarò Prestipino –. I contatti con la procura di Roma sono continui, la collaborazione è straordinariamente fluida ma ne emerge una rete di condizionamento delle relazioni economiche e sociali di enormi proporzioni, perché attorno a Giugliano in Campania si esercita un’influenza sui comuni circostanti fino alle porte di Roma». 
Non sfugge come si vede, la necessità di una presenza capillare e meglio distribuita delle forze dell’ordine sul territorio extraurbano. Dimostrata dalla «geografia» dei beni sequestrati al clan: acquisite al patrimonio dello Stato 17 unità abitative tra Giugliano in Campania (Napoli), Aversa (Caserta), Mentana e Monterotondo, 11 terreni nel comune di Mentana, quote e immobili relativi a una società attiva nel settore immobiliare con sede a Fonte Nuova.