di TOMMASO VERGA
LE SENTENZE, L’ESECUZIONE, IL “TANA LIBERA TUTTI” continuano ad affogare in un “catino” o in una “bagnarola” (a scelta) di ostacoli e di incompatibilità. Soluzione? Adottare con urgenza e soprattutto efficacia rimedi sostitutivi. L’importante è che si riesca a cogliere l’evergreen parola d’ordine risalente a Bartolomeo Terranova: «i laghetti del Barco debbono chiudere». Aforisma che però deve far di conto con l’interrogativo d’aggiunta: «Sindaco di Tivoli, rappresentanti della “spa Acque Albule”, attraverso quali modalità?». In soccorso del replay dall’esito fallace del dispiegamento della lenzuolata di sentenze, ordinanze e via narrando c’è soltanto il mutismo. Tanto per dimostrare che l’esibizione sostiene la crociata della “spa Acque Albule” terranoviana contro i laghetti del Barco (in alto, un ingresso). Guerra di religione ormai, che prosegue imperterrita, persino arricchendosi di addendi del tutto prescindenti dalle condizioni d’origine.

I palazzi della “Domus Patritia” al Barco; sotto, la cava dismessa della «Fratelli Pacifici Ing. Cesare e Lorenzo Spa»

E’ di questi giorni la notizia che, in sede esecutiva del divieto di balneazione imposto dalla nota sentenza del 2020 del Tribunale di Tivoli, il perito nominato dal giudice dell’esecuzione Maria Grazia Patrizi ha depositato una relazione nella quale si suggeriscono le soluzioni per impedire in concreto l’immersione degli utenti negli invasi delle polle naturali di acque sulfuree: sorveglianza di vigilantes (armati?) incaricati e retribuiti dalla predetta società, che impediscano “manu militari” ai malcapitati utenti di immergersi nelle piscine o copertura delle stesse con lastre di vetro o altro materiale. Sembra tuttavia che l’agguerrita difesa del Terranova ritenga insufficienti anche tali suggestive ipotesi, proponendo una soluzione ancor più radicale: il riempimento degli invasi con residui di pietrame di cava (ovviamente – riteniamo – di travertino, tanto per salvaguardare l’ambiente in coerenza con le vicine cave!).
Meraviglia che, tra le tante fantasiose soluzioni, sia stata scartata quella dei cavalli di frisia con filo spinato e nidi di mitragliatrici o bombardamento aereo col napalm. Volendo esser seri, pur con notevole difficoltà, non si riesce a comprendere come gli ipotetici vigilantes potrebbero aggredire a mani nude le pur nude bagnanti che si accostano agli invasi, senza incorrere in gravi reati e come si possano tappare le polle naturali in violazione della legge. Ma quel che meraviglia maggiormente è il fatto che i laghetti non sono più gestiti dalle associazioni parti in causa con “spa Acque Albule”, ma da altri soggetti, che, unitamente ai proprietari dei relativi terreni, sono totalmente estranei alla controversia in atto e non possono quindi essere destinatari del divieto di balneazione sancito nella sentenza del Tribunale di Tivoli.
Tale situazione, peraltro, sembrerebbe già documentata nel processo esecutivo in corso ed ammessa dallo stesso perito, che proprio per tale motivo, stante l’opposizione dei predetti nuovi soggetti, non ha potuto neppure entrare negli impianti per eseguire il sopralluogo. In conclusione, “spa Acque Albule”, pur consapevole della nuova situazione, sta facendo causa ad un morto!
Come previsto dal codice, il giudice dell’esecuzione, preso atto che i soggetti destinatari del divieto sancito in sentenza hanno cessato ogni attività e non sono neppure reperibili presso i laghetti, dovrà dichiarare la cessazione della materia del contendere e la difesa terranoviana dovrà rivolgere altrove i suoi strali, ove anche riesca a conservare, come il concessionario Comune di Tivoli, un monopolio ormai palesemente illegittimo, in quanto contrario alla normativa europea per la tutela della libera concorrenza ed alle attuative leggi italiane.
Quindi? Rendere impraticabile grazie a Madre Natura il conteso «spicchio» del Barco. Destinando i capitali a un investimento non tanto consueto quanto plurimonocorde nella zona tiburtina: la “mondezza”. Pur sapendo Bartolomeo Terranova e Comune di Tivoli, rappresentanti della «spa Acque Albule», che si descrive un comprensorio che si presterebbe alla ottimale realizzazione di un parco termale. «Seeeeee, ma vorresti mettere quanto rende la mondezza a confronto con le piscine?» commenterebbe Salvatore Buzzi. Un’alternativa “pratica” dunque. Plusredditizia non solo in termini di conto bancario ma ai fini dell’esecuzione delle relative sentenze. Perché la costruzione dell’impianto di biometano in via della Bullica, sulla cava di travertino dismessa della «Fratelli Pacifici Ing. Cesare e Lorenzo Spa», a 200 metri dalle polle del Barco, caccerebbe dai laghetti i frequentatori. Che, per quanto adusi agli effluvi dell’acqua solfa, non potrebbero sopportare quelli distribuiti perennemente nell’aria dal transito dei camion impegnati tutto il giorno nel trasposto della materia decisamente nauseabonda risultante dalla raccolta differenziata, l’“organico” (il piano presentato dai «fratelli Pacifici spa» prevede che al Barco vengano trattate 38mila tonnellate l’anno di rifiuti).
Oltretutto, si sta parlando dell’«area SIC dei travertini e delle acque albule», un sistema territoriale protetto sul quale dal 15 marzo è in corso la tabellazione a cura del  Parco dei monti Lucretili. Come possa risiedervi un impianto di tale natura è tutto da vedere.
Va precisato che la procedura imbastita ai fini descritti ha ricevuto il benestare unicamente del Comune di Tivoli: quasi a volersi dichiarare, Palazzo San Bernardino, in conflitto di interessi; nessun placet della Regione Lazio, della Città metropolitana, dell’Arpa, del Parco dei monti Lucretili. Una indicazione che non colpirebbe solamente le attività dei laghetti, ma il ristorante di fronte al “biodigestore aerobico” produttore del “biometano”, gli abitanti dei palazzoni della Domus Patritia, tutte la altre aziende, molte, attive nell’area.
Degli effluvi «godrebbero» anche Villalba di Guidonia Montecelio sulla via Tiburtina, in particolare la scuola di via Palermo, a 700 metri distante; così come il nuovo ospedale di «Cesurni» a poco più di mille metri. Solo così, il ragioniere Bartolomeo Terranova e il sindaco di Tivoli potrebbero finalmente dire di aver vinto. Con qualche robusto dissenso dei residenti della zona.