di TOMMASO VERGA
UNA SENTENZA CONTRO «ITALCEMENTI»? Non soltanto. Perché a trarne vantaggio non sarà unicamente la città di Colleferro, sede del cementificio, firmataria del ricorso. I cui effetti potrebbero sintetizzarsi nel titolo «COLLEFERRO “GEMELLATA” CON GUIDONIA MONTECELIO» (e altri luoghi dalle caratteristiche simili).
Si dirà in seguito, poiché la precedenza va alla cronaca del procedimento definitivamente concluso con una sentenza del Consiglio di Stato – la numero 1912, pubblicata il 31 agosto – non favorevole al “colosso” del cemento, la bergamasca «Italcementi Fabbriche Riunite Cemento». La SpA autrice dell’appello contro Regione, ARPA Lazio (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale), Città metropolitana di Roma Capitale, Comune di Colleferro. A intervenire, inoltre, ad adiuvandum, l’Associazione italiana tecnico economica del cemento, aderente a Confindustria.
Oggetto del reclamo aziendale, si legge, «l’annullamento ovvero la riforma previa sospensione della sentenza del TAR Lazio del 27 settembre 2022 n. 12232.
Sentenze che hanno respinto le tesi dell’azienda, secondo la quale «gli interventi di sostituzione dei combustibili tradizionali con CSS-combustibile conforme (ottenuto dal trattamento di rifiuti indifferenziati, ndr) alla normativa che lo disciplina e che «non comportino un incremento della capacità produttiva autorizzata, non costituiscono una modifica sostanziale» dell’AIA, «e richiedono il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio».
All’opposto il giudizio dei due tribunali. TAR e Consiglio di Stato hanno negato fosse sufficiente l’utilizzo della “comunicazione di modifica non sostanziale” dell’AIA (Autorizzazione integrata ambientale) rilasciata a giugno del 2017 dalla Regione Lazio. «Italcementi» avrebbe dovuto intendere come “sostanziale” la modifica del processo produttivo nel cementificio di stanza a Colleferro.
Va precisato che la definizione del «carattere sostanziale» o “non sostanziale”, comporta l’adozione di procedure amministrative contrarie una all’altra. La «sostanziale» si manifesta attraverso l’applicazione di un complesso di regole che possono racchiudersi in una «conferenza di servizi» della durata persino di anni (nonostante la legge fissi scrupolosamente i tempi, raramente osservati).
Sarebbe opportuno – ma non è questa la sede – disquisire sugli effetti di tali condotte risalenti principalmente alla pubblica amministrazione.
Un tema poi, per la sua particolarità, introduce un esame dei giudici delle condizioni generali, non necessariamente relative alla sola città di Colleferro. particolare ritiene poi non provato che il maggiore inquinamento prodotto
Nel caso dell’utilizzo del combustibile CSS, una obiezione riguarda «l’aumento del traffico di autocarri», che, ribatte «Italcementi», «sarebbe compensato da quello minore dovuto a un minore trasporto via nave di pet coke dal Nord America».
Uno spunto per il quale si direbbe che i giudici del Consiglio di Stato nel complesso della sentenza intendano sottolineare l’assenza della politica, di un progetto che si ponga il quesito sulla soluzione dei problemi causati da uno sviluppo privo di rispetto per le condizioni di vita delle popolazioni di ampie aree del Lazio.
Una crescita «talmente significativa – si legge riportando la posizione del Comune di Colleferro – da giustificare la massima prudenza nel valutare l’intervento». Una riflessione che, prima di illustrare i contenuti di una sentenza innegabilmente negativa per l’appellante, si direbbe richieda un approfondimento per come si intende una condizione – quella della provincia di Roma – del tutto priva e privata di politiche e programmi espressi da un’idea di sviluppo sostenibile.
Ecco perché, prima del resto, crediamo opportuno proporre al lettore una delle sette motivazioni che hanno indotto il Consiglio di Stato a formulare la decisione. A parere, la maggiormente significativa.
Infatti, a differenza che nel passato, i giudici hanno dato peso rilevante a quanto espresso dal Comune di Colleferro, il quale «ha prima di tutto ricordato la grave situazione ambientale e sanitaria del proprio territorio, caratterizzato da una configurazione spaziale che favorisce il ristagno degli inquinanti, da insediamenti industriali numerosi e di grande impatto ambientale, nonché da statistiche sanitarie anomale per malattie ischemiche, respiratorie e tumorali».
Una illustrazione della quale potrebbe appropriarsi più di un ente locale, descrizione che, concretamente, a mo’ di paragone, si può trasferire pari-pari alla condizione del territorio di Guidonia Montecelio, città sede anch’essa di un cementificio, la «Buzzi Unicem», dall’intenzione ripetutamente espressa – da antica data – sull’utilizzo del CSS (Combustibile solido secondario, mondezza indifferenziata nella sostanza), prodotto dal “vicino di casa” denominato TMB, Trattamento meccanico-biologico dell’immondizia di Roma, impianto del gruppo di Manlio Cerroni distante meno di un chilometro dal cementificio, che, qualora se ne decidesse l’avviamento, fornirà a «Buzzi-Unicem» l’identico materiale che «Italcementi» vorrebbe utilizzare mischiato al tradizionale petroleum coke.
Il «modello di sviluppo» che ha reso cauti i giudici del Consiglio di Stato, nel caso di Guidonia Montecelio, contempla a tutt’oggi la mancata bonifica di una discarica di rifiuti cessata nel 2014. Difetto che si aggiunge ai numerosi insediamenti industriali – a Guidonia Montecelio sono 6.195 le aziende registrate a giugno 2023, delle quali 5.066 le “attive” –. Tra le quali non mancano opifici di rilevante impatto ambientale per rammentare la mancata dotazione di sistemi correttivi dell’inquinamento atmosferico causato dalle polveri provocate dall’estrazione del travertino delle 5 società “attive” secondo i dati della Camera di Commercio a giugno 2023 (8 quelle «registrate»: tutte le altre cosa faranno? “mistero guidoniano”). © RIPRODUZIONE RISERVATA – info@hinterlandweb