DODICI PRESENTI, «dichiaro la seduta deserta». Manca il numero legale, finisce non appena iniziata la riunione del Consiglio comunale nel pomeriggio di oggi. Il novero dei presenti è formato dal movimento 5stelle (nemmeno al completo); tutti assenti i consiglieri della minoranza così come i due ex pentastellati confluiti nel gruppo misto. Ci si rivede mercoledì (Barbet: ma chi le corre dietro? Gli inquilini delle case popolari?)
di TOMMASO VERGA
DI COSA AVREBBERO discusso se la convocazione non fosse andata a vuoto? Della nuova formulazione delle entrate tributarie. Che significherebbe far affluire nelle casse del Comune di Guidonia Montecelio – oltre ai tributi ordinari e le imposte «personali» di cittadini, commercianti e imprese –, tra i venti e i 25 milioni di euro. Arretrati. Tutti a carico – d’obbligo il condizionale – delle società titolari delle concessioni per estrarre il travertino. Una cinquantina, delle quali 40 interessate al provvedimento (numeri a orecchio; o – in coerenza con le dichiarazioni del periodo –, ad occhio: tanto neppure Palazzo Matteotti conosce le quantità). Le aziende, se il Consiglio avesse approvato, avrebbero ottenuto un provvedimento che soddisfa le loro richieste: la rateizzazione degli oneri e delle imposte, arretrati a far data dai primi anni Duemila. Soldi che sarebbero entrati, un tot al mese, per un massimo di 72 mesi.
Tema della delibera proposta dalla giunta di Michel Barbet al voto del Consiglio comunale: «Regolamento per la concessione di rateizzazioni per il pagamento delle entrate tributarie: modificazioni ed integrazioni». Quale che sarà il responso dell’Aula in seconda covocazione, il «TRAVirus» non è detto che avrà vita facile. Per dire: sicuri i proponenti e i beneficiari, che basterà a bloccare le procedure esecutive della «TreEsse Italia», la società incaricata della riscossione dei tributi? Dubbi in quantità.
Punto fermo: la giunta di coalizione civici-5stelle ha deciso di adottare un provvedimento di sostegno alle imprese del travertino. Fin qui… Se non fosse che alla disposizione si unisce un senso di reticenza, l’ostilità ad ammetterlo. Lo dimostra la «giustificazione» addotta in una riunione di partito – diretta a qualcuno evidentemente non convinto –, nella quale si è detto che l’atto serve a sanare gli affitti arretrati delle case popolari. Sì fosse, un intento con qualche grammo di nobiltà sociale, da sottolineare.
Le due «strofette» in alternativa alle garanzie reali per il Comune
Così, forte della convinzione, vai a spulciare le carte prodotte dall’assessorato alle Finanze, e ti mordi la lingua per la lode. Perché scopri che ci sono morosi con «debiti superiori a € 20.000,00» (entrate tributarie di locazioni per abitazioni risalenti al pliocene…), per i quali «la concessione è subordinata in alternativa:
«a) alla stipula di apposita polizza fideiussoria bancaria o assicurativa che copra l’intero importo comprensivo degli interessi, ed avente la scadenza un anno dopo quella dell’ultima rata così come individuata nel provvedimento di rateazione;
«b) l’iscrizione di ipoteca di primo grado su beni il cui valore, determinato ai sensi dell’art. 79 DPR n. 602/1973, sia superiore all’ammontare del debito residuo maggiorato degli interessi di dilazione».
Due strofette che oltre a non abitare di certo nelle case popolari, stanno lì a suggerire l’«alternativa» – letteralmente – alla fideiussione bancaria (o assicurativa). Come nasce il marchingegno? Per quale ragione, è il succo, un interessato dovrebbe immobilizzare in banca la somma equivalente al debito? tanto varrebbe sanarlo. Offerta al miglior contraente? la cava a garanzia della rateizzazione.
Come dire che sono state rovesciate le posizioni, che varrebbe la pena enumerare le clausole utili e vantaggiose ai beneficiati dalla rateizzazione (l’amministrativista-redattore si potrebbe definire intraterritoriale, molto intraterritoriale). Non per il Comune, il quale non avrebbe mai introdotto un’«alternativa» alla fideiussione bancaria: che giovamento ne avrebbe ricavato? Mentre, di contro, il ricorso all’ipoteca, fa saltare gli auspici di sostegno – a dire del sindaco – al «regolamento sulle entrate tributarie». Perché, a queste condizioni, «ipotecare» vuol dire sottrarre all’ente l’unica garanzia di «sostanza», la «polizza fideiussoria bancaria». Senza neppure la possibilità di appellarsi, visto che il gravame è stabilito nel nuovo «regolamento».
Un esempio. Se in passato, al Comune fosse stata intitolata un’ipoteca sulla decine di cave dismesse, quello che avrebbe dovuto costituire un introito per le casse dell’ente, una «posta» del bilancio, si sarebbe rivelato a tutti gli effetti un esborso inatteso. Motivo? l’abbandono improvviso e inaspettato. Per una concessione negata dalla Regione, penuria di materiale… chi più ne ha ne metta. Una ipoteca pur sapendo che la cava è un bene deperibile. E come tale, contabilmente diminuisce progressivamente di valore. Così piazza Matteotti s’è trovata (non in astratto, tuttora) con «relitti» ai quali dovrà provvedere, si pensi al risanamento ambientale. Un modo di utilizzare le entrate tributarie penserà Barbet. Anche in nome del buon senso, se fosse un patto tra gentiluomini, «la concessione è subordinata in alternativa» verrebbe cassata.
Altro indizio che conduce al redattore della delibera, una «frase fatta». Laddove si «prende atto della situazione socio-economica del Paese, l’oggettiva difficoltà finanziaria e la mancanza di liquidità in cui versano sia le aziende che i privati per effetto della crisi economica». Una frase fatta appunto, che nemmeno distingue condizioni ipoteticamente diverse tra loro – davvero tutte le cave sono uguali? – né tiene conto che si sta parlando di un debito la cui origine risale a una ventina di anni fa. Quando la crisi era di là da venire. Quando «Lehman Brothers» era una portentosa in termini di profitti banca d’affari.
La mutazione genetica del movimento 5stelle guidoniano
Ma perché la decisione della giunta pentastellata di sostenere le aziende del travertino appare imbastita di silenzi e sotterfugi (per non dire dell’urgenza di riconvocare il Consiglio comunale a distanza di due giorni; a proposito: il movimento 5 stelle è consapevole di non aver più i numeri necessari)? Perché non sostenerla in maniera chiara, esplicita? Perché preferire modalità che lasciano pensare al buco della serratura, mentre probabilmente non albergano da nessuna parte, in nessuna anticamera del cervello come avrebbe detto la nonna, prodromi della «macchina del fango»?
Non soltanto sulla «faccenda entrate tributarie» si registra un atteggiamento dei 5stelle di Guidonia Montecelio – ormai ai ferri corti con i rappresentanti regionali – fondato si direbbe sulla preoccupazione di accreditarsi presso le aziende. Nulla di sbagliato. Se non intervenisse la clausola «quale che sia la condizione». Forse vogliosi di emendarsi dal peccato d’origine, da quel «chiudiamo le cave» del 2018. Al quale fece seguito il «ricordiamo che l’indotto dell’estrazione procura ai cavatori di travertino romano un business che si aggira intorno ai 250 milioni di euro anno (…)»; seguito da «Un’amministrazione, di ogni colore, ha l’onere di far rispettare le leggi e di tutelare la salute e l’ambiente, ma c’è proprio chi le regole non le vuole rispettare, forse sentendosi unto da qualche privilegio divino a discapito dei cittadini comuni, ma di certo per una Amministrazione a 5 Stelle la legge è uguale per tutti anche per i cavatori di travertino romano» (da Colibrì del 20 agosto 2018, periodico on line del movimento 5stelle di Guidonia Montecelio).
1 – Continua