Oggi Along Came Jazz compirebbe vent’anni. Sarebbe bello rivederlo tra noi

Esattamente vent’anni fa, a sei/sette mesi di distanza dall’ingresso a Palazzo San Bernardino del sindaco Boratto, nel Comune di Tivoli cominciò a spirare un’ossigenante brezza dai profumi culturalmente variegati, impreziositi dalle cornici di siti prestigiosi (Chiostro di Villa D’Este, Teatro Greco di Villa Adriana, Anfiteatro di Bleso, Piazza Trento). Una dietro l’altra, prese il via una manciata di rassegne di alta caratura dal taglio logico e coerente, dedicate al jazz, alla musica antica, alla classica, al folclore, al rock, al cortometraggio. Quella ventata di aria fresca non è consistita nelle solite proposte dopolavoristico/dilettantesche destinate a non lasciare segni di rilievo, le eccellenti professionalità disponibili in città e dintorni permisero di edificare qualcosa di diverso e filosoficamente non compromissorio.

Il punto di partenza: anziché appoggiarsi alle agenzie, tendenti a proporre “pacchetti” da prendere in blocco, i direttori artistici coinvolti puntarono sull’originalità – al costo, in taluni casi, di roventi polemiche –, rigettando con decisione scelte conformistiche e da cartolina incentrate su questa o quella star sul viale del tramonto.

Dalla metà dei ’90, per circa tre lustri sono proliferati spettacoli stilisticamente multidirezionali sintonizzati con le rigorose strategie degli ideatori, orientati a coinvolgere le platee tramite linguaggi tanto inusuali quanto propedeutici, acquisibili senza sforzi esagerati. In un’era condizionata dall’immagine, la componente visuale, ovvero la possibilità di assistere fisicamente ai concerti, ha senza dubbio agevolato il compito in termini di concretezza e tangibilità. Specie i giovani hanno ben risposto a simili stimoli, probabilmente incantati da gerghi non di rado sconosciuti e misteriosi, perciò attraenti e meritevoli di approfondimento. C’è chi in seguito ha sentito l’esigenza di studiare seriamente il lessico prediletto, iscrivendosi in un conservatorio o in una scuola di jazz o all’università (specializzazione: cinema). Un fermento non sfuggito agli addetti ai lavori (RAI inclusa), ai quali va il merito dell’eco extraterritoriale e della promozione di cui ha goduto l’attivismo tiburtino.

Gianni Coscia

Nel luglio 1994 ha fatto da apripista Along Came Jazz, festival dall’afflato internazionale improntato sulla ricerca di commistioni verginee: idiomi contaminati che – una volta fatti conoscere – da ostici si sono trasformati miracolosamente in “classici”, “normali”, decodificabili da chiunque. L’Associazione Culturale Costa della Forma, artefice di ACJ, non ha preso per buoni i ridondanti mantra “le sperimentazioni sono di nicchia”, o peggio “la cultura non dà da mangiare”. È stata una sfida controcorrente, fortunatamente sostenuta dalla critica specializzata, non solo italiana. RAI Radio 3 ha per esempio benedetto ACJ già all’esordio trasmettendo integralmente – in diretta o registrati – tutti i concerti delle quindici edizioni, dove non sono mancate escursioni addirittura nel miglior cantautorato e nel rock alternativo.

Una strada altrettanto interessante l’hanno battuta i curatori di Tivoli Classica, contemplante sia concerti, sia autorevoli corsi di perfezionamento frequentati anche da molti stranieri, in particolare della Corea del Sud.

Nel contempo, Etnica ha dato voce al folclore delle nostre regioni, naturalmente aggiornato, mentre le serate di Musica Antica hanno permesso di riscoprire pagine sonore dimenticate e angoli nascosti del centro storico. E come non ricordare la gran qualità dei corti proiettati all’inizio dell’autunno 2000 da I duellanti, una proposta che, nonostante l’alta affluenza di spettatori, non ha avuto però una seconda possibilità.

Nel terzo millennio sono infine emersi Tivoli Rock e il classico-cameristico Jeux d’Art, ma alla

John De Leo

pari degli altri avvenimenti hanno fatto i conti con difficoltà economiche in crescita esponenziale.

Eccetto Jeux d’Art, unica manifestazione sopravvissuta, oggi Tivoli è rabbuiata dall’oscurantismo. Una decadente aridità culturale alimentata da un mix micidiale: la crisi coniugata all’indolenza degli amministratori di turno. Carenze che hanno provato a compensare un paio di volenterose associazioni sorte di recente, L’appartamento e Arte e parte. Insufficienti però a colmare l’enorme vuoto.

Sarebbe allora rincuorante che la nuova giunta guidata dal sindaco Proietti lanciasse segnali utili a infondere un po’ di ottimismo, pianificando chiare intenzioni di rinascita. Qualcuno pensa sul serio che l’Arco di Pomodoro basti a