Per Federterme (Confindustria), «l’Italia non era obbligata ad applicare la direttiva europea al settore termale, trattandosi di un’industria che eroga servizi di carattere sanitario, prestati da personale qualificato»
di TOMMASO VERGA
CON LA SENTENZA DEL 7 LUGLIO, com’è noto, il tribunale di Tivoli ha vietato alle associazioni “Bambù”, “Eden”, “Parco Tivoli”, “H2SO a r.l.” e “La Siesta” – i cosiddetti «laghetti del “Barco”» –, l’attività di balneazione e comunque lo sfruttamento abusivo delle acque che affiorano spontaneamente sui siti da loro gestiti, condannandole tutte insieme a risarcire un danno di ben 720.434,00 in favore della «spa Acque Albule» – azienda privata a capitale misto pubblico-privato (Comune di Tivoli, 60 per cento; Fincres spa il rimanente) –, dichiarata unica legittima utilizzatrice in regime di monopolio della risorsa idrica solfurea, in virtù della subconcessione del Comune di Tivoli.
Per la verità la sostanza della controversia era nella differenza dei prezzi e della qualità del servizi di balneazione erogati dai contendenti, ma la motivazione della sentenza fa riferimento ad argomentazioni più nobili quali la validità di una subconcessione proveniente da delibera della giunta comunale ed ancor più la pretesa non applicabilità al caso concreto della normativa europea anti monopoli.
L’aspetto più curioso è che proprio i Terranova, iscritti a Confindustria e fieri sostenitori del libero mercato e quindi della libera concorrenza, in questa controversia abbiano mutato opinione, ergendosi in paladini del monopolio pubblico del “socio” Comune di Tivoli e degli “interessi generali” e comunque in fieri oppositori della libera concorrenza.
Va detto che le motivazioni della sentenza non convincono, tanto meno le associazioni condannate, che preannunciano appello, per cui l’intera questione verrà a conclusione tra molti anni.
La sentenza fa confusione tra «concessione» e «subconcessione»
Dalla stessa cronistoria esposta dettagliatamente in sentenza, infatti, emerge che si è fatta confusione tra l’oggetto della concessione originaria in favore del Comune di Tivoli e quello, palesemente diverso della subconcessione alla S.p.A. Acque Albule, risalente ad un atto del 1925, dove l’utilizzazione delle acque viene esplicitamente limitata alle sorgenti Regina e Colonnelle ed al canale “D’Este”. Nella sentenza si afferma che gli invasi dei «laghetti del “Barco”» sarebbero ricompresi nella perimetrazione della concessione del Comune di Tivoli, ma l’argomento è irrilevante, perché nella sentenza stessa si indica che la subconcessione della «spa Acque Albule» aveva ed ha (non si indicano sopravvenuti mutamenti) il predetto ambito territoriale ben delimitato e certamente non includente detti invasi (distanti numerosi chilometri).
Quanto alla validità della delibera del 2001 con la quale la giunta comunale ha “rinnovato” detta subconcessione (invadendo, secondo l’Associazione Parco Tivoli, la competenza esclusiva del Consiglio comunale) la sentenza, pur prendendo atto che l’art. 42, alla lett. e) (ma anche alla lett. l) del Tuel (Testo unico enti locali) riserva le “concessioni” al Consiglio, ne esclude la competenza esclusiva per gli atti di semplice “rinnovo”, ignorando che il rinnovo di una concessione è a tutti gli effetti giuridici un nuovo e distinto atto e che in nessuna parte del predetto Tuel si afferma tale distinzione.
La delibera del 2015: si possono rilasciare regolari concessioni regionali
Ma, a proposito di decisioni della giunta, quel che meraviglia è che la sentenza abbia ignorato del tutto la delibera n. 165 emessa il 6 agosto 2015 (sindaco Proietti, presenti gli assessori Caucci, Cappelli, Martines e Barberini), ritualmente acquisita in atti, nella quale si riconosce formalmente che:
– per gli invasi delle associazioni possono essere rilasciate regolari concessioni regionali per l’uso a fini non terapeutici delle acque, con il che implicitamente sconfessando il preteso monopolio vantato dalla «spa Acque Albule»;
– nella concessione 12.11.1941 del Ministero delle Corporazioni, si fanno salvi i diritti di terzi, tra i quali vanno sicuramente compresi i proprietari dei terreni dove sono situati i «laghetti del “Barco”»;
– detti proprietari usano le acque sulfuree affioranti «per fini non ricompresi fra quelli riguardanti l’igiene e la vendita a scopo terapeutico, oggetto della concessione di utilizzo della detta risorsa idrotermale» al Comune di Tivoli (e, di conseguenza, della sub concessione alla Acque Albule spa).
V’è da chiedersi a questo punto cosa succederebbe se, sulla base di tali esplicite premesse, le associazioni che gestiscono i «laghetti del “Barco”», senza rinunciare alle loro difese in sede processuale, presentassero domanda di regolare rilascio di concessione alla Regione Lazio, per l’uso non terapeutico delle acque, o persino direttamente domanda di sub concessione allo stesso Comune di Tivoli, che, per negargliela, dovrebbe sconfessare la sua stessa precedente delibera n. 165 dell’agosto 2015.
La violazione della Bolkestein, la normativa europea sulla libera concorrenza
Quanto alla violazione della normativa europea, la domanda di fondo delle associazioni che vorrebbe «smontare» la tesi delle terme è: può esistere un monopolio delle acque che escluda la concorrenza, il mercato? In Italia è possibile. Anzi: chi possiede una concessione non la vedrà mai insidiata da un concorrente. Lo stabilisce, come riporta la sentenza, l’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59: «Le disposizioni non si applicano al rilascio e al rinnovo delle concessioni per l’utilizzazione delle acque minerali e termali destinate all’esercizio dell’azienda termale in possesso delle autorizzazioni sanitarie».
Francamente tale disposizione appare sostanzialmente elusiva della normativa europea ed anche poco compatibile con i principi costituzionali, contenendo varie contraddizioni.
Prima di tutto della logica: non si capisce da dove si ricava che le attività di assistenza e cura in ambito termale fanno un tutt’uno con l’abluzione e la balneazione, con massaggi e aerosol: i «giochi d’acqua» non richiedono specifiche autorizzazioni sanitarie e/o convenzioni.
Si tratta della legge che il Parlamento italiano deliberò per eludere la direttiva comunitaria risalente a Frits Bolkestein, il commissario per il settore interno, nell’intento di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, impose che per le concessioni minerarie fosse necessario esperire gare d’appalto pubbliche. Federterme ingaggiò subito la battaglia contro Bolkestein, si ricorderà quel nome. La sua «direttiva» scatenò le ire di tassinari, gestori di ombrelloni e sedie a sdraio (di mare) e ambulanti. Arrabbiati perché, secondo quella direttiva, la concessione alla scadenza doveva tornare sul mercato. Il titolo poteva premiare il vecchio così come qualsiasi altro gestore.
Così la “riforma” venne giustificata da Federterme, l’associazione di categoria: «L’Italia non era obbligata ad applicare la direttiva al settore termale, trattandosi di un’industria che eroga servizi di carattere sanitario, prestati da personale qualificato» (il Sole24ore, 4 gennaio 2018). Titoli che chissà perché categoricamente non possiedono altri aspiranti. In base a quali valutazioni si ignora.
Chiarimenti che potrebbe fornire Stefano Terranova, il direttore generale della Acque Albule spa, per il quadriennio 2016-2020 componente del Consiglio generale della Federterme (la Federazione italiana delle industrie termali, delle acque minerali e del benessere termale), mentre il papà, Bartolomeo, rappresenta le aziende di famiglia nella Federturismo, l’altro sindacato di categoria; entrambi sono associati alla Confindustria.