di TOMMASO VERGA
POCO PIU’ D’UN ANNO dall’impegno e la costruzione del nuovo policlinico tiburtino si trasforma in «lavori in corso». Giovedì 12 verrà completata la recinzione dell’area, preambolo al «via libera» del futuro cantiere. Nello spazio temporale intercorso tra la promessa e il raggiungimento dello step, il geologo Giuseppe Gugliuzza ha consegnato alla Asl le «indagini geologiche, geognostiche e geofisiche», alla pari dello studio di fattibilità di «Ingegneria naturale» dell’ingegner Ferdinando Ferone di Valmontone (delibera della Asl Rm5 del 27 febbraio). Tempi non burocratici come si vede. Che comprendono la cerimonia del 29 ottobre a Cesurni (sulla quale l’unica preoccupazione l’ha destata il motivo assegnato alla presenza delle forze dell’ordine, «intervenute per garantire l’ordinato svolgimento dei lavori»: come se Giorgio Santonocito, direttore generale della Rm5, avesse sentore di iniziative improprie; comunque, se fosse, la reazione meno opportuna sarebbe stata proprio quella di sottolinearle nel comunicato ufficiale diramato dalla Asl).
Del nuovo policlinico tiburtino è stato disegnato il profilo. Con alcune correzioni rispetto a quello iniziale di gennaio 2019, risalente all’assessore regionale Alessio D’Amato. La più netta (e significativa) riguarda l’aumento del numero dei posti-letto, passati dai 250 del primo «lancio» regionale, ai 340 annunciati dal comunicato stampa. Quantità coincidente proprio con la richiesta di Luigi Cocumazzo, all’epoca segretario generale della Cgil territoriale, nell’incontro pubblico del 7 novembre 2019 a Villanova di Guidonia. Una crescita che intenderebbe accompagnare l’illustrazione delle qualità del nosocomio, sia dal punto di vista delle prestazioni che della dislocazione territoriale.
In realtà, per la prima parte, ci si fa scudo della genericità: «Il nuovo ospedale sarà il punto di riferimento del vastissimo territorio provinciale a est di Roma e nasce per dare una risposta equilibrata al fabbisogno di salute – si legge infatti nel comunicato di Santonocito –. Il progetto sarà improntato ai concetti fondamentali di flessibilità ed umanizzazione. Sarà un ospedale ecosostenibile, flessibile, in grado di affrontare le sfide che oggi con drammaticità stanno investendo la Sanità mondiale». Tutte qualità che «sorreggono» un comunicato stampa, ma che, come si vede, evitano l’illustrazione del grado di «attrattività» del nuovo policlinico tiburtino.
«Attrattività», che si tramuta in virtù indispensabile del nuovo policlinico tiburtino, fondata dai servizi erogati e dalla collocazione territoriale in mezzo alla pianura. A cominciare dal doppio vantaggio assicurato dalla «nuova» Tiburtina a 4 corsie (per l’apertura del nosocomio si presume i lavori saranno terminati) e dalla fermata di Tivoli Terme della metro F2 distante qualche metro dall’ospedale. Condizioni ideali, in potenza, per rovesciare l’unidirezionalità verso Roma. Alla quale si può sottrarre la domanda di sanità in senso qualitativo. Una «dote» da acquisire, dalla quale il ceto dirigente della Rm5 non può prescindere se non vuole assistere al fallimento del progetto, al punto di dover convenire sulla inutilità dell’investimento messo a bilancio della Regione Lazio.
Come è noto, la Asl di Tivoli è costretta a fare i conti (a pieno titolo, non metaforicamente) con insufficienze che vanno superate per quanto di antica data. Motivo di permanenti controversie con gli utenti e con le loro associazioni territoriali e sociali, prima fra tutte Cittadinanzattiva. Si va dalla sottostima del numero dei posti-letto alla portata degli organici fino alle prestazioni disponibili all’interno del territorio amministrato. Insufficienze che costringono l’azienda sanitaria a subire il peso elevato della mobilità passiva. Per definizione, «il flusso di fondi in uscita per la compensazione di prestazioni erogate a propri assistiti al di fuori dal territorio di competenza».
Anche se, al limite del paradosso, si ignora l’importo dei rimborsi della Rm5 alle Asl della capitale. Per il semplice motivo che l’ultimo rilievo statistico, numerico e percentuale, è sì reperibile sul portale internet dell’azienda sanitaria, ma risale al 2013.
Seppure impossibile riportarla appieno (per motivi di spazio e funzioni), proviene dal medesimo sito una cruda ma veritiera «autoradiografia» dell’azienda sanitaria: «Gli ospedali della Asl Roma 5, per la carenza di posti letto, si trovano a dover trasferire pazienti che potrebbero gestire autonomamente. In secondo luogo essi sono costretti a trasferire pazienti che necessitano di risorse assenti sul territorio (stroke unit, RMN d’urgenza – e, perché no? neurochirurgia, terapia intensiva neonatale, chirurgia otorinolaringoiatrica, eccetera, ndr –). Infine i Presidi pubblici della Asl Roma 5, nell’organizzazione regionale delle reti ospedaliere, hanno in generale la funzione di serbatoio di rifornimento dei centri romani di livello superiore. In conclusione la Asl Roma 5 è obbligata ad una mobilità passiva che riguarda pazienti non afferenti alle alte specialità ma portatori di patologie comuni e gestibili in loco potendo disporre delle risorse necessarie».
Come si vede non si tratta esclusivamente di «carenza di posti letto». Ma con il nuovo ospedale, l’occasione per «recuperare» c’è tutta, è a portata di mano. Anzi, di betoniera (chissà se si usano ancora…). Buon lavoro.