di TOMMASO VERGA
«CHE FINE FARA’ L’OSPEDALE DI TIVOLI?». Non pochi, forse l’intera città se lo domanda, da quando il progetto “nuovo policlinico tiburtino” ha cominciato a prendere corpo. C’è anche chi però si dà la risposta, lapidaria: il «San Giovanni Evangelista non si tocca!». Nonostante la crudeltà dei conti, che, contraddittoriamente, mostrano prevalente la scelta di curarsi fuori della Asl territoriale, la Roma 5, nei presidi della Capitale soprattutto. «Mobilità passiva» tecnicamente. Cui si aggiunge l’accentuato il ricorso alla sanità privata, non soltanto analisi di laboratorio, ma visite specialistiche.
Potrebbe concludersi così la domanda su che fine farà il «San Giovanni Evangelista». Domanda prevalente sui social, luogo in cui chiunque si sente autorizzato a dirne di ogni tipo, con precedenza agli insulti. Poi ritirandosi soddisfatto.
A costoro dovrebbe essere imposta la prova di stanziare una notte d’inverno al pronto soccorso, su uno dei letti frontistanti la porta a vetri automatica, per l’ingresso delle ambulanze (si perdoni la sintesi). E misurare l’effetto che fa. Oppure, di giorno, autorizzarli a contare quanti metri consumano medici, infermieri & c. nella permanente necessità di accudire i pazienti.
L’attesa termina qui: il “San Giovanni Evangelista” chiuderà. Una decisione raffigurata dall’andirivieni delle pietre, una si pone, un’altra si toglie. Le ultime: quella che completa il nuovo ospedale di Tivoli, l’altra che segnerà la fine del predecessore. E, con esso, di un pezzo di storia, d’Italia e di Tivoli. Un the end che esordì il 7 novembre 2019, oggetto di un incontro a tema promosso dalla Cgil Roma Est, a Villanova di Guidonia. All’indomani, a seguito soltanto dei cenni, toccò sopportare espliciti malumori contrari. Un “togli&metti” andato via via irrobustendosi mercé apporti «esterni» all’astanteria cittadina. Non manca(ro)no osservazioni sguaiate di vetusti influencer locali provvisti di apposita bandierina sventolata contro il «nuovo ospedale».
A Tivoli e a Guidonia Montecelio, al fine di mettere in discussione i “confini” di appartenenza del nosocomio, alcuni politici possono vantare nel curriculum di essersi cimentati sull’identità della cistifellea: farà capo a un Comune o all’altro? Una contrapposizione, si giustifica(ro)no, dovuta a un impegno (non) dichiaratamente assunto dalla politica e non mantenuto: l’«ospedale di Tivoli non chiuderà» la rassicurazione. Che, a scorrere i documenti, non trova conforto alcuno.
Diversamente dallo schema descritto dalla tabella. Secondo la quale, unitamente ad altri quattro nosocomi del Lazio, il «San Giovanni Evangelista» verrà chiuso. Tra otto anni presumibilmente, perché tanto necessita in ordine di tempo a dire dei progettisti, per terminare la costruzione del nuovo policlinico a «Tivoli Terme-Cesurni».
A cercare, dappertutto, non c’è nulla di contrario. Atto né asserzione che attestino il mantenimento dei due ospedali nel territorio, a Tivoli e/o nelle città circonvicine.
Dalla rete ospedaliera al rapporto abitanti-posti letto
«Programmazione della rete ospedaliera 2021-2023 in conformità agli standard previsti nel DM 70/2015» titola il capitolo contenuto nelle 234 pagine del Burl numero 66 (il Bollettino ufficiale della Regione Lazio) dell’1 luglio scorso. Seguito dalla «Determinazione 18 giugno 2021, n. G07512 Adozione del Documento Tecnico» e dalle «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19». Una totale ristrutturazione del «sistema salute» si direbbe – del Lazio nel nostro caso –, con particolare attenzione alla funzione e al ruolo degli ospedali.
Obiettivo, il «rafforzamento strutturale della rete ospedaliera mediante l’adozione di uno specifico piano di riorganizzazione con un aumento strutturale sul territorio nazionale di posti letto di terapia intensiva (per arrivare allo standard di 0,14 posti letto per 1.000 residenti) e di area semi-intensiva (mediante riconversione di posti letto di area medica per acuzie con uno standard dello 0,07 per 1000 residenti e convertibili al 50% in posti di terapia intensiva), un aumento della dotazione dei mezzi di trasporto dedicati ai trasferimenti secondari dei pazienti COVID-19, e un consolidamento all’interno delle strutture sanitarie della separazione dei percorsi di accesso e cura».
Per esaminare gli effetti della “Determinazione”, prendiamo il «caso Tivoli». Città che ospita il maggior presidio ospedaliero della Rm5, per posti-letto e completezza dei servizi. Ma anche solo punto di riferimento della vasta area della provincia a est della capitale. Si “servono” del tiburtino «San Giovanni Evangelista» i residenti di Subiaco e della Sabina romana, delle valli dell’Aniene e, almeno in parte, del Giovenzano; i 100mila abitanti di Guidonia Montecelio e quelli di Palombara Sabina, che però possono altresì ricorrere alle due «case della salute»; sulla Tiburtina, in località Martellona i primi; all’ex ospedale cittadino gli altri (non va escluso che tale potrebbe essere la prospettiva finale dell’ospedale di Tivoli).
Chissà se alla “Pisana” sarà sufficiente invocare «pazienza» per ottenere il beneplacito dei cittadini. Dei cittadini beninteso, non della politica. Anche all’assessore regionale alla Sanità non sfuggirà che sempre più difficilmente le due direttrici coincidono. Specie di fronte a decisioni sulle quali appare complicato cogliere tutti i versi.
Intanto, come detto, cinque ospedali del Lazio cesseranno l’attività; altrettanti li sostituiranno. Conclusione che non riguarda la statistica ma la condizione delle persone. Sulle quale non viene detto nulla. Ognuno, voglioso di chiarezza, può individuare l’insieme dei fattori che formano la decisione e che vanno, quantomeno, dal numero dei posti-letto al rapporto tra sanità e territorio.
Perché, ci si domanda, come decadranno, nel frattempo, i nosocomi appesantiti di molti anni di anzianità. Carico che, ovviamente, non potrà che provocare danni ulteriori allo stato degli edifici, dei reparti, delle specialità, degli impianti, sui quali saranno possibili soltanto interventi parziali, e quindi insoddisfacenti. Perché, quesito irrisolto, si vorrebbe conoscere come la Regione metterà mano per parare o ridurre gli effetti dovuti all’avvio della rottamazione, stabilito a decorrere dall’anno in corso? Come si potrà intervenire laddove necessario, se l’impegno, la priorità di spesa, il riferimento finanziario, potrebbero compromettere il completamento dei lavori o il fallimento delle previsioni relative all’avvio dei presidi ospedalieri di nuova data?
Il «San Giovanni Evangelista» ristrutturato in centro-servizi?
Piuttosto, la probabilità è che l’ospedale di Tivoli (ex) venga comunque sottoposto a una ristrutturazione radicale. Una parte potrebbe venire occupata dai servizi amministrativi del municipio, una seconda dalla sede della Asl Rm5 (oggi in via dell’Acquaregna, in affitto). A questo momento, il “rientro” dalle locazioni “sanitarie”, comporterebbe un risparmio di poco superiore ai 900mila € l’anno).
Dei rimanenti spazi beneficerà la città di Tivoli, decisamente oppressa dalla quantità e dalla qualità di servizi pubblici di natura cittadina ma anche territoriale (il tribunale per esempio). Una mini-città metropolitana. Che sta letteralmente scoppiando. Soffocata dal traffico automobilistico interno (viceversa, la politica pensa a quello di attraversamento, da controllare scavando un tunnel sotto la collina: una necessità tutta da provare). Che consiglierebbe, per i polmoni degli abitanti, uno specializzato presidio sanitario. Uno ne troverà (forse intitolato a Gino Strada, il fondatore di Emergency), in pianura, a dodici km distanti. In alternativa nulla può. Il «San Giovanni Evangelista» dev’essere chiuso. Sola e unica precisazione. Almeno per il momento.