di TOMMASO VERGA
COMINCIAMO BENE! è esclamazione che coglie il significato opposto, “critica o commento negativo” secondo i dizionari. Ci sono 250 mila persone – la stima è dell’università la Sapienza –, migranti che da decenni ogni giorno si muovono nella stessa direzione, in andata e ritorno, per ragioni di lavoro, di studio, di salute, di cultura, di soddisfazione del tempo libero. Tutti insieme, tutti negli stessi orari. Uno “sbarco” che nessuno governa. Sono i pendolari da/verso Roma. Un fenomeno che, senza intralci, disservizi, un semplice incidente stradale, di per sé “costa” due ore/dì a persona, più di un mese di vita ogni anno.
Nella corsa al Campidoglio, tutti gli aspiranti e i candidati sindaco, di tutti i partiti – ma proprio di tutti – hanno ignorato il tema. Assente nella conferenza stampa convocata dopo le primarie on line del Movimento 5stelle; nemmeno un cenno, un buttato lì di sfuggita nella mezz’ora che domenica scorsa Lucia Annunziata ha riservato ai sei candidati alle primarie del Pd; stesso dicasi nella convention di Francesco Rutelli; mentre in Lombardia (è un esempio) presta molta attenzione alla città metropolitana di Milano, l’equivalente capitolino è ignoto a Matteo Salvini (anche perché nella storia della Lega alla voce Roma si trovano insulti e i rigatoni scambiati tra Renata Polverini, Gianni Alemanno e Umberto Bossi a piazza Montecitorio).
Vediamo se è utile ricorrere alla provocazione: “si elegge il sindaco di Roma, alle primarie (e al voto del 12 giugno) debbono partecipare tutti i cittadini della città metropolitana”.
Se è questo l’atteggiamento assunto dai concorrenti si direbbe non banale illustrare il motivo. Perché loro in modo particolare dovrebbero sapere che chi occuperà lo scranno più alto del Palazzo Senatorio, volente o nolente che sia, dovrà governare “confini” che si sono spostati ben oltre il perimetro tracciato dalle mappe. E’ un fatto ineludibile. Non solo perché lo obbliga la legge ma perché quando elencherà con serietà i motivi del degrado della città eterna, “scoprirà” l’incidenza della massa enorme di popolazione che entra/esce dalla capitale. Così come quanto “mamma Roma” sia in realtà “matrigna”.
Con la dose di positiva follia propria degli intellettuali organici, Pier Paolo Pasolini voleva che la sede dell’appena nata Regione Lazio venisse insediata a Viterbo. Per far sì che Roma non ospitasse un ulteriore “peso”: edifici, persone, traffico, mobilità. Come di solito non venne nemmeno preso in considerazione. Partiamo da qui.
Data l’assenza d’ogni cenno nella fase in corso, si direbbe che la “città metropolitana” sia racchiusa in quella scatola vuota definita “problema politico”, che si aprirà al momento della conta, tipo ‘quanti posti mi spettano?’. Insomma, una superfetazione, un’”aggiunta superflua”. Un caso da manuale, dove ignoranza fa tutt’uno con superficialità, mentre gli aspiranti dovrebbero prendere esempio proprio dalle negative precedenti esperienze dei governi capitolini per formulare un programma che avrebbe inoltre il pregio di recare sollievo prima di tutto a quelli che considerano romani: sottrarre alla capitale, almeno in parte, funzioni che obbligano un così spropositato numero di persone a muoversi.
L’esempio “pratico” l’ha offerto Roberto Giachetti, il candidato del Pd già capo della segreteria di Francesco Rutelli. Primo a muoversi, ha annunciato “di voler ascoltare le periferie” (ha iniziato a Settecamini, dalle parti dove si arresta il raddoppio della via Tiburtina, oltre è terra incognita…). In competizione verso le primarie del 6 marzo, l’ha seguito Roberto Morassut, assessore all’Urbanistica con Valter Veltroni. Due “rivali” accomunati da un cordone ombelicale: il primo sindaco avviò la redazione del Piano regolatore capitolino, l’altro la concluse e la consegnò alle stampe. Nessuno dei due è stato distolto dalla domanda (visto che non è stata posta) “ma qual è la periferia di Roma?”. Poi, dieci giorni fa, l’altra domenica, Giachetti ha inviato alla Repubblica una riflessione titolata “è bello vivere a Roma”. Semplicistico chiosare perché “fuori si sta peggio”. Perché quel peggio è peggiorato proprio grazie a Roma. In particolare, al Piano regolatore.
A sua firma, nella prefazione dello strumento urbanistico, Morassut sosteneva la necessità di definire (“a differenza del passato” si legge) un Prg concertato con le città confinanti, affinché il ‘nuovo modello’ di Roma non andasse ulteriormente ad aggravare le condizioni di vita di chi risiede nella prima cintura. Quindi ci si aspettava un Piano regolatore d’impronta “metropolitana”, tale da soddisfare la domanda se non di beni almeno di servizi di quei 250mila, a cominciare dalla mobilità e dai trasporti. Invertendo la dinamica che ha visto Roma progressivamente occupare tutto il possibile. Fantasticherie, spam elettorale.
Concretamente, il Prg ha guardato in direzione opposta e contraria. Inventando le “compensazioni” – Lunghezza, Ponte di Nona, Bufalotta, solo per rimanere nello “spicchio” proprio del versante nord-orientale –, ha permesso che la lobby dei “padroni di Roma” ulteriormente ingolfasse le ‘terre di mezzo’ tra la capitale e l’immediato hinterland (con effetti anche paradossali: si pensi al gioco dell’oca delle complanari al Car). Ancora: il facilitato consumo di suolo ha comportato la diretta conseguenza che il residenziale non programmato o in eccesso, si riversasse nella seconda periferia. Laddove i terreni sono rimasti liberi il tempo utile a imprigionarli. Abusivamente. Meglio, attraverso “varianti” urbanistiche mirate, ad hoc.
Per un verso, la prodotta ulteriore confusione si è tradotta nell’aumento del tempo di vita sottratto a ciascun pendolare. Per l’altro, nella impossibilità per gli spesso complici amministratori locali di governare territori ridotti a marmellata, si è favorito l’insediamento di organizzazioni criminali che li utilizzano per controllare il mercato della metropoli.
Il Prg ha provveduto a decentrare servizi (d’ambito territoriale non ‘cittadini’)? Ha fornito un mezzo di trasporto in più, una facoltà universitaria, uno spazio dedicato alle nuove tecnologie, alla ricerca, alla sperimentazione? Un moderno ospedale? Nulla. Il nulla più assoluto. Persino la delibera regionale sul “distretto aeronautico” è rimasta ferma nelle fabbriche d’armi interne al perimetro del raccordo anulare. E quanto si muove, seppure a passi di lumaca, è precedente l’approvazione del Prg, la iniziata realizzazione dello Sdo di Pietro Samperi (il Sistema direzionale orientale) ridotto ai minimi termini nelle dimensioni e nella strategia (tutto si concentra su Pietralata) risale agli anni ’60, solo meritevole ricordo delle giunte clerico-fasciste capitoline.
Poi, nei tempi e nelle modalità che fisseranno i partiti, dopo il 12 giugno, ci si dedicherà alla città metropolitana di Roma. Purché rimangano intoccabili le premesse fissate nel secolo scorso da Remo Remotti.