di GIULIANO GIRLANDO
E’ PASSATO quasi un anno da quando Luigi De Ficchy ha lasciato il vertice della procura di Tivoli per ricoprire il ruolo analogo a Perugia. Dopo la breve reggenza di Arcibaldo Miller – sostituito da Andrea Calice, tra i più anziani all’interno della procura -, ora il plenum del Csm (Consiglio superiore della magistratura), su richiesta dello stesso, ha deliberato il trasferimento di Francesco Menditto a Tivoli.
Proveniente da Lanciano (procura che comunque continuerà a presiedere fino all’inizio dell’estate), nella cittadina abruzzese il giudice era arrivato nell’agosto del 2011 dal tribunale di Napoli, dove si era occupato in particolare di repressione dei reati fiscali e della criminalità organizzata, incluse le misure patrimoniali del sequestro e della confisca dei beni. A Lanciano si è distinto nella lotta ai reati ambientali. Tra le inchieste, 12 depuratori sequestrati alla Sasi, la cava di Civitaluparella, le fogne di 1.600 appartamenti di Valle del Sole a Pizzoferrato, il crollo del trabocco Turchino, il sansificio Vecere a Treglio. Solo nel 2015 sono stati 135 i procedimenti e 184 gli indagati per reati in materia ambientale. La partenza del procuratore, che dovrebbe definitivamente lasciare dopo l’ispezione ministeriale prevista per giugno, rischia di far rimanere scoperto a lungo il ruolo apicale.
Francesco Menditto è stato componente del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Napoli, del gruppo di studio dell’ordinamento giudiziario dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) e referente distrettuale per l’informatica. È stato uno dei protagonisti della creazione della lista I marzo, nella quale si sono ritrovati a Napoli Magistratura democratica, Movimento per la giustizia ed i Ghibellini (provenienti da Unità per la Costituzione) al termine di un lavoro comune svolto all’interno del Consiglio giudiziario sul rispetto in concreto delle regole e dei principi, in particolare in relazione ai criteri tabellari al pari trattamento di tutti i magistrati, contro ogni tentativo di gerarchizzazione.
In una intervista al Fatto Quotidiano di quasi due anni fa il neo procuratore capo di Tivoli ha detto: “La confisca dei beni ai corrotti, agli evasori fiscali e ai bancarottieri non è una novità, ho iniziato io con gli evasori fiscali nel 2012, subito dopo l’emanazione del Codice antimafia, poi si è passati ad applicarla a corruttori e bancarottieri e oggi è una pratica consolidata”. Si è partiti con un’idea semplice, come sono spesso le migliori. Visto che la legge consente di sequestrare e confiscare i beni agli indiziati di mafia (a prescindere dal processo penale) ma anche a chi vive del “provento dei delitti” come ladri, rapinatori e borseggiatori, perché non applicarla anche ad evasori fiscali, corruttori e bancarottieri che mantengono stili di vita possibili solo grazie al frutto dei loro reati?
L’intuizione ha passato il vaglio della Cassazione e da allora ha fatto giurisprudenza. “Ormai registriamo decine di confische per casi di evasione, ne contiamo almeno 4-5 per corruzione e altrettanti per bancarotta”. Non molti per la verità, visto la portata di questi reati nel nostro Paese, “ma è uno strumento nuovo, e i magistrati stanno imparando ad usarlo”.