DA UNA PARTE quelli che sghignazzano (i parchi sbeffeggiano), dall’altra chi si trincera dietro il mantra della “trasparenza”. Nessuno risulta aver fatto caso all’aspetto che accomuna entrambe le curve (ormai la politica è merce da stadio): aldilà del savoir faire di rigore, la replica di Raffaele Cantone a Virginia Raggi – firmataria della richiesta di parere a proposito degli articoli 90 e 110 del Tuel –, non distingue tra fans della sindaca di Roma e denigratori, perché censura un comportamento nei fatti ordinario dell’amministrazione pubblica, centro, destra, sinistra, 5Stelle. Tanto che l’applicazione del parere dell’Anac si profila devastante per tutti gli enti locali. Con un doppio ulteriore effetto: all’interrogativo su chi ripagherà le spese decise “fuori legge” si unisce l’altro sui “danni erariali” conseguenti.
I fatti. Alle 5 di mattina, di buonora e dopo (si presume) una nottataccia, Virginia Raggi, la sindaca di Roma, affida a Facebook la decisione di revocare il contratto del capo di gabinetto: “Sulla base di due pareri contrastanti – precisa – ci siamo rivolti all’Anac che, esaminate le carte, ha dichiarato che la nomina della dottoressa Carla Romana Raineri a capo di Gabinetto va rivista in quanto ‘la corretta fonte normativa a cui fare riferimento è l’articolo 90 Tuel’ (il Testo unico degli enti locali, il contratto di lavoro per semplificare, ndr) e l’applicazione, al caso di specie, dell’articolo 110 Tuel è da ritenersi impropria”.
Articolo 110, nel particolare il capo di gabinetto oppure, mutatis mutande, il capo-staff del sindaco. Ma anche d’un assessore, del presidente di una Provincia o di una Regione. Per i non addetti ai lavori va precisato che l’articolo 110 si applica soltanto ai dirigenti, selezionati con apposito concorso ad evidenza pubblica, tutti gli altri ricadono nella griglia del “90”.
Qui si innesta la questione del capo-staff o di gabinetto che dir si voglia (da molti mesi argomento-principe per chi scrive su hinterlandweb). Un esempio aiuta a capire appieno. Gli inquadramenti dei collaboratori di Nicola Zingaretti, presidente della giunta del Lazio, e le mansioni svolte da Maurizio Venafro, il capo di gabinetto, il caso più di prossimità meglio conosciuto (anche per via dell’indagine su Mafia capitale conclusa favorevolmente per la persona). L’incarico “politico” trasformato in potestà di gestione. Anche se, c’è da scommettere, in tutte le Regioni la solfa è analoga: i capi di gabinetto sono dirigenti contrattualizzati ex articolo 110 con potere di firma sulle determine di spesa pubblica.
Per restare nel “comprensibile”, si prendano i sindaci di Guidonia. Tutti da un ventennio coadiuvati da uno staff con relativo dirigente, un team non sottoposto ai vincoli del concorso, scelto del vertice dell’ente tra sodali di partito o di corrente, escludendo, alla bisogna, il personale locale. Con mansioni gestionali-esecutive e poteri di spesa alla pari dei dirigenti effettivi, come si legge nelle lettere di assunzione o negli affidamenti di opere e incarichi. Con l’aggiunta – non è una presa in giro – che ciò è previsto dal regolamento comunale sul funzionamento degli uffici e dei servizi. E, nonostante le sollecitazioni arrivate da più parti, nessuno ha interrogato Cantone che, sul caso romano, ora ha sciolto i nodi di natura interpretativa.
Insomma, lo stesso valeva per Michele Pagano (capo staff del sindaco Stefano Sassano), di Maurizio De Vincenzi e Andrea Di Palma (sindaco Filippo Lippiello), Augusto Colatei (parte della prima consiliatura di Eligio Rubeis), per finire con Angelo De Paolis (ancora Rubeis), che andavano inquadrati tutti obbligatoriamente ex articolo 90, il comma di legge che consente di contrattualizzare correttamente i collaboratori negli staff degli organi di vertice, con il divieto assoluto – al di là dei compensi economici – di esercitare prerogativa dirigenziale di gestione della spesa, quindi impegno e liquidazione di denaro pubblico.
Questo a Guidonia Montecelio non è avvenuto. Chi ha sbagliato? E pensare che qualcuno lo aveva detto chiaramente, scritto senza tentennamenti, perché l’interpretazione di legge mai come nel caso in esame era da considerarsi assai semplice, insomma era sufficiente si esprimesse o si impegnasse la dirigenza del Comune, non ci voleva Raffaele Cantone per capire e affermare che nella equipe del sindaco (e assessori, presidenti di Regione e Provincia), vale solo l’articolo 90. Un parere destinato a rivoluzionare gli attuali assetti negli staff di mezza Italia.