di TOMMASO VERGA
COMINCIA COSI’: cerco di vendere un terreno “inutile”. Beneficio odierno, si legge in letteratura, “rendita fondiaria”. Invece, nella sostanza, pago le tasse e non ne ricavo nulla. Alla proposta di vendita un titolato risponde che interessa per l’azienda che presiede, si apre una trattativa. Capisco che non andrà a buon fine sin da subito, la differenza tra domanda e offerta non si colma. Non demordo ma tutto si conclude in un nulla di fatto. L’animo si mette in pace. C’est la vie.
Successivamente, sorprendentemente sbuca senza preavviso un progetto che propone a quattro persone, fisiche e/o giuridiche, la valorizzazione del (mio) terreno e di quelli limitrofi mediante la voltura della destinazione, da agricola a industriale: “Dovete assegnarmi le vostre aree, subito, occorre una delibera della giunta – è l’incipit –. Stanno scadendo i termini per presentare le domande per i contributi europei quindi tutto si deve svolgere in fretta. Se Bruxelles – la Città metropolitana di Roma e la Regione Lazio è meno probabile –, farà notare incongruenze, provvederemo a quel momento, l’importante adesso è agire”.
Così l’articolazione del ragionamento che ha visto trasformarsi 155 ettari di campagna brulla e abbandonata da sempre nell’immaginifico “Nuovo polo industriale di Guidonia in area produttiva ecologicamente attrezzata”. Tutto compreso in una delibera di giunta del 25 giugno 2015. Distante appena cinque giorni dalla scadenza dei termini per chiedere l’accesso ai fondi strutturali europei, il “Por Fesr 2014-2020”. A volo d’angelo, una risoluzione straordinaria – stop al calcestruzzo, nessun calcolo strutturale e del cemento – quasi ci si stupisce che l’abbiano licenziata. A rileggere le cronache di quei giorni gli elogi si sprecavano (poi… il miraggio di 840 posti di lavoro). Anche se bastava appena approfondire per capire che tutto stava procedendo nel consueto senso di marcia che la vulgata nella piazza del municipio sintetizza da sempre con “uno per tutti tutti per uno”. Citazione non volente di Dumas (padre).
Dei quattro “moschettieri” null’altro che il possesso di quegli ettari, unico trait d’union (che un missino di Guidonia Montecelio, già deputato, in uno scritto tradusse “trade unions”). Soggetti tutti estranei ad attività manifatturiere, non esclusivamente ma siamo lì, i loro interessi mirano a palazzi e palazzine, finanza, grandi opere, impiego di residui di un patrimonio lasciato in dote da Mussolini per chissà quali meriti, sanità. Però della “valorizzazione” beneficiavano tutti (“cosa farsene di un terreno così?”). Né costituiva remora il fatto che i ricavi individuali sarebbero stati differenti, equivalenti all’estensione delle superfici.
Rilasciato il singolo benestare, si presume sia stata definita la costituzione di una società ad hoc, e passati alle azioni dettate dal codice e dai regolamenti, camera di commercio e via dicendo. Invece nulla. Della baraonda burocratica che investe ogni simile, sul conto dei neo-industriali non risulta un certificato, un documento, niente di niente. Il paracadute: nella nota d’accompagnamento, il proponente-Comune di Guidonia Montecelio scriveva che “un protocollo d’intesa definirà gli impegni di ciascun soggetto in relazione agli obiettivi, ai contenuti e alle operazioni della proposta di progetto integrato”. A oltre un anno di distanza non si ha notizia né del “protocollo” né degli “impegni di ciascuno”. Ci avessero ripensato? Oppure – a Guidonia tutto è possibile – non ne sapessero niente?
Non si può certo chiederne conto a Eligio Rubeis, il proponente-sindaco di Guidonia Montecelio allora in carica, ma dal 20 luglio 2015 agli arresti, e nemmeno al sostituto facente funzioni Andrea Di Palma, investito della carica dal prefetto di Roma unicamente, com’è avvenuto, per la sola gestione ordinaria.
Non restano che i “quattro moschettieri”. Inevitabile, a questo punto, la caccia. In cima alla lista quello più importante, il D’Artagnan. Il quale, a precisa domanda, risponde di non saperne nulla. E che i suoi 72,4309 ettari di terreno messi a disposizione della giunta di Guidonia – su 155, la metà del “polo” –, qualunque ne sia il beneficiario e la destinazione urbanistica, trattandosi di un ente pubblico, debbono trovare il consenso di una delibera. Stante l’ignoranza dell’affare, mai neppure “pensata”. Parola di Giuseppe Caroli, ancora direttore generale della Asl RmG. “Saltate” dal progetto le aree dell’ex “Pio istituto di Santo Spirito e ospedali riuniti di Roma”, l’ulteriore ricerca di chiarimenti diventava inutile.
Per completezza, si dirà che dei tre “minori” l’approfondimento avrebbe interessato la sola “Nuova Guidonia srl”, partecipata al 65 per cento da “Fincres spa” e satelliti, e da “Donati spa” per il rimanente. Amministratore unico, Bartolomeo Terranova. Infatti, mentre 24,4532 ettari sono divisi tra Carla Ansini, la famiglia Del Fante e la “Santarelli costruzioni spa”, gli altri 58,2920 appartengono al tandem Terranova-Donati. Un appezzamento (dalla parte opposta alla “Collina del Sole”, a ridosso della chiesa diruta di Santa Sinforosa) in precedenza oggetto di trattativa per l’acquisizione tra Fabio Massimo Pallottini, direttore generale del “Car spa”, e il venditore Terranova, negoziato durato mesi ma fallito. Discordanza sul valore di mercato. C’est la vie.