di ELIA PINCI
I “TORNI non contano” diceva Totò, anche nei meandri inestricabili (ad oggi) delle pratiche sulle anticipazioni di cassa. Una prassi, fin troppo utilizzata nei settori della pubblica amministrazione guidoniana. Funziona così: il settore di riferimento, attraverso il dirigente, impegna in determina una somma X a beneficio di una azienda Y, disponendo contestualmente che parte di essa venga erogata subito (in gergo si dice frammentazione in dodicesimi), poi l’iter usuale porta la pratica sul tavolo del tesoriere che può “tagliare” per mancanza anche parziale di fondi. Il dado però è tratto, la ditta emette fattura, magari dopo aver effettuato completamente i lavori, e va pagata per intero. Anche in assenza di disponibilità finanziaria nelle previsioni di spesa ormai pluriennali delle amministrazioni locali. Risultato: un pastrocchio contabile tra bilanci di previsione e consuntivi di bilancio (quelli dei soldi realmente spesi) che si fa fatica a dipanare, un rompicapo per la dirigenza a termine, il commissario prefettizio Giuseppe Marani e i suoi vice, perché a Palazzo Guidoni sono anni che i “torni non contano”.
Infatti qualcuno degli ex capigruppo invitati in Comune per ricevere comunicazioni (a dire il vero assai inusuali tra una istituzione verso semplici cittadini) racconta di un timoniere esasperato dalle tante, dure reprimende della Corte dei conti. Nel caso delle anticipazioni di cassa, i dirigenti avrebbero – almeno per la magistratura contabile – usato inoltre le solite formule generiche in determina, violando ripetutamente i principi a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione, al fine di erogare somme per pagamenti (discrezionalmente) ritenuti urgenti e indifferibili anche se nella realtà non lo erano.
Il prefetto ha lamentato (anche) il “muro di gomma” incontrato ogni volta con il vertice burocratico dell’ente, la impossibilità di una collaborazione tendente a fare luce sui casi finiti costantemente all’attenzione degli organismi deputati al controllo degli atti amministrativi. Ecco allora la decisione di ricorrere agli ispettori del ministero dell’Economia e Finanze e ai dirigenti della Città metropolitana di Roma chiamati a fare il lavoro dei colleghi comunali. A risolvere il pasticcio di queste somme impegnate dai settori e cancellate dalla ragioneria, dunque, di fatto, indisponibili.
È il caso del Teatro Imperiale. I gestori Gennaro D’Avanzo e Anna Greggi sostengono di avere dalla loro atti amministrativi comprovanti che il Comune (la giunta prima e il settore Cultura poi) si è impegnato per tre anni a pagare le spese relative alla stagione teatrale. In realtà quei soldi non sono reali, perché individuati su capitoli privi di disponibilità economica, anche se, con il meccanismo della anticipazione di cassa, somme sono state impegnate per consentire loro di avviare la stagione. Un caso destinato a finire davanti al giudice in una controversia giudiziaria che moltiplicata per cento crea scompiglio oltre alla impossibilità di procedere con l’approvazione di un bilancio di previsione in cui la spesa sia precisamente quantificabile sulla base delle risorse disponibili.
C’è la vicenda dei soldi “anticipati” di cassa per i lavori di realizzazione di opere e infrastrutture previste nei progetti del Plus (il sistema viario Tor Mastorta-Selciatella, l’asilo nido di Finestroni: la “città del III millennio”…) poi definanziati dalla Regione Lazio che impegnano l’ente per un quinquennio, l’accensione dei mutui i cui ratei e interessi peseranno sui bilanci dei prossimi vent’anni, somme impegnate e frazionate a vario titolo per avviare servizi e acquistare beni lì a dimostrare che l’ente in questi lustri ha speso senza poter pagare.
Da un punto di vista tecnico-giuridico l’anticipazione di cassa è pratica prevista dal decreto legislativo 267 del 2000 (Tuel, testo unico degli enti locali), ed è finalizzata a “pagamenti urgenti ed indifferibili in situazioni di mancanza di liquidità”, definizione che spiega assai bene come a Guidonia Montecelio una eccezionalità sia divenuta prassi. Contabilmente “l’anticipazione di tesoreria si configura come un prestito a breve da restituire con gli incassi che si verificano sul conto di tesoreria”, inutile aggiungere come al Comune della terza città del Lazio questo non sia avvenuto. Il Tuel “individua nel tesoriere (il dirigente alle finanze) il soggetto tenuto a concedere l’anticipazione, stabilendo il limite massimo concedibile”, in realtà in municipio ogni dirigente faceva di testa sua, in raccordo o meno (anche questo andrà stabilito) con l’assessore di riferimento in quel settore, perché se è vera e legittima la piena l’autonomia del dirigente che risponde in solido di eventuali abusi, è altrettanto indispensabile (è fissata dalla legge) la prerogativa non solo di indirizzo ma soprattutto di controllo della politica sull’azione dei vertici burocratici.
Ora, nei corridoi di palazzo, la luce è accesa sul decreto che avrebbe consentito l’utilizzo dei dodicesimi da tre a cinque delle entrate correnti (i primi tre titoli del bilancio di entrata) accertate nel penultimo anno precedente: sarà vero? le somme impegnate saranno state comunque congrue? La questione è molto tecnica, per la Corte dei conti vanno accertate responsabilità con l’obbligo per Marani e i suoi vice di sanzionare quegli abusi che sicuramente si sono verificati. Pagheranno i dirigenti che hanno sbagliato (per colpa o dolo è da accertare)? Quante e quali anticipazioni sono state autorizzate? A beneficio di chi e, soprattutto, sussistevano davvero i motivi di urgenza e contingibilità necessari per legge a ricorrere a tale pratica? Ci penseranno gli ispettori ministeriali coadiuvati dai dirigenti della provincia di Roma.