Il 'dottor sottile' Bruno Astorre, senatore Pd

Il ‘dottor sottile’ Bruno Astorre, senatore Pd

di ELISABETTA ANIBALLI

BRUNO FERRARO lascia la contesa. In modo ora definitivo (si presume). Ribadendo il precedente “no” a Forza Italia formalizzato in una lettera chiara nei connotati, da una parte elencando i limiti di una sua discesa in campo al tempo stesso manifestando la ambizione spacciata per disponibilità di correre “a disposizione del partito” eventualmente per un seggio parlamentare. Niente di strano per un uomo avanti con gli anni, già rappresentante di una istituzione (la magistratura) nel ruolo discretamente rilevante di presidente del Tribunale di Tivoli.

È abbastanza logico quindi ritenere che se ripensamenti ci sono stati in Bruno Ferraro in queste ore, come da più parti arriva, questi non potevano che essere indotti da soggetti diversi da Forza Italia o comunque in combinazione con Forza Italia nel peggiore degli scenari: una ammucchiata anonima, privata dei simboli di partito, piegata nella scelta alle esigenze di autoconservazione di una nomenklatura poco avvezza all’idea di cedere terreno al Movimento 5 stelle. È il modello del grande blocco già tracciato nel partito della nazione di stampo renziano per riempire spazi più ampi in termini di consenso, ponendosi come alternativa all’antipolitica grillina, divenendo però esso stesso antipolitica e nella forma peggiore: quella delle poltrone.

La città di Guidonia Montecelio è stata già laboratorio politico nel 2009 quando la medesima nomenklatura, uguale nei nomi, alla ricerca di un consenso più ampio adattato anche in quel caso al principio dell’autoconservazione, intendeva assimilare con un processo di fusione fredda il Pd e l’Udc. I risultati non vennero davanti a un elettorato confuso. Oggi lo schema si allarga a Forza Italia fino al giorno prima alternativa. A capo dell’esperimento in una città usata ancora come cavia, proprio Ferraro, diventato subito il surrogato di Marco Rettighieri, prima scelta dem svanita in un batter di ciglia per eccesso di rialzo sul mercato di accordi e accordicchi.

Marco Vincenzi misura i benefici del "sondaggio"

Marco Vincenzi misura i benefici del doppio “sondaggio”

Il magistrato in pensione, nella struttura adattata dai notabili alle “personali” elezioni regionali e politiche del prossimo anno, avrebbe finito per essere a capo di almeno due liste civiche o civetta (è più corretto), ciascuna espressione di Forza Italia da una parte e del Pd dall’altra, i cui simboli sparirebbero dalla competizione elettorale. Un cartello dato (per tutta la giornata di ieri) come alternativo (o almeno parte di esso) al condominio di Civiche di Aldo Cerroni – se è vero che contatti per tirare nella partita i biplanisti di Mauro Lombardo risultano a chi scrive – per arrivare all’eventuale ballottaggio contro il movimento 5stelle. Qualcosa di politicamente inimmaginabile per un elettorato provato da scandali e caro imposte.

Il modello è figlio dei partiti a livello regionale e nazionale, la delegazione allargata che ha, senza pericoli di smentita, interloquito con Bruno Ferraro nelle ultime ore, era composta dai democratici Marco Vincenzi e Bruno Astorre, con delle puntate del parlamentare Andrea Ferro (la mente nella operazione), in quota forzista da Adriano Palozzi, Francesco Aracri, Claudio Fazzone. Le liste le avrebbero costruite con i big della nomeklatura dem e altri dell’arcipelago rubeisiano, l’ex presidente di Cotral Domenico De Vincenzi esponendosi in prima persona, così come Simone Guglielmo; Eligio Rubeis per evidenti ragioni rimandato al ruolo di regista dei fedelissimi, almeno (Michele Venturiello e Marianna De Maio?).

“…Nella strategia (divenuta realtà?) sarebbero pezzi di potere che si assimilano annullando vecchie alleanze, tradizionali simboli e, soprattutto, i partiti di appartenenza attraverso una destrutturazione pilotata, gattopardesca, del consenso. Eligio Rubeis e Domenico De

Bruno Ferraro

Bruno Ferraro

Vincenzi uniti nel translare i propri personalissimi sostegni elettorali su una figura terza, asettica, il magistrato a lungo corteggiato da Forza Italia… (hinterlandweb dell’11 aprile).

È di questi minuti la comunicazione, informale, che Ferraro avrebbe ri-ri-declinato l’invito a scendere in campo, ma passato il nome è probabile ritenere che la strategia resti immutata. Si attendono sempre reazioni dalle altre anime, o componenti, dei partiti di riferimento a livello locale.

 

Nicola Zingaretti

E Nicola Zingaretti “ammonisce”

IL TRAPASSO DALL'”EFFETTO FERRARO”

AL PIU’ CORRISPONDENTE

“LA SACRA FAMIGLIA”

PER UNA ‘GROSSE KOALITION’

SENZA POLITICA NE’ PRINCIPI

 

(t. ve.) PARAFRASANDO (ammesso: disinvoltamente), viene da chiedersi come l’apparizione sulla scena del “Ferraro Rocher” poteva tradursi. Esclusa la letterale, “roccia”, dal francese, per assonanza l’unica evoluzione possibile volgeva al “rosso”. Purché dotati di ombrello paraoggetti o paraortaggi, poiché gli insulti d’ogni tipo, forma, spessore e sostanza sarebbero piovuti abbondanti. Tutti i i partecipanti alla grosse koalition risultavano offesi. A cominciare dall’interessato: “Rosso a me? Ma come si permette?”.

Bruno Ferraro allora. L’ex presidente sì-no, sì-no, sì-no dei tribunali di Velletri e di Tivoli scioglie le ambasce ed “esce dall’agone” (l’antro preconizzava Ludovico Ariosto). Inizialmente candidato da Forza Italia, l’avevano convinto i democratici (ovvero, i suoi oppositori; precisazione: si tratta di contesa elettorale… un inedito quindi). A concludere, Marco Vincenzi (sindaco di Tivoli, forse ammaestrato dall’aggregato di liste civiche che lo ha sconfitto tre anni fa) e Bruno Astorre (sindaco di Frascati). Necessita l’”ex”. Vero. Purché se ne accetti una duplice lettura. Quella istituzionale e, segnatamente, quella politica.
Stesso schema, stessi protagonisti (forse, anche Nicola Zingaretti stavolta) entra nel ballo Luigi Trapazzo, ex magistrato anch’egli, non allergico alle poltrone. La più recente, consigliere d’ammnistrazione dell’Ipab “Sacra famiglia” – appropriatissimo per la politica di Guidonia – da gennaio scorso, per nomina di Nicola Zingaretti, presidente della giunta regionale del Lazio. Dunque, uno del Pd. Ma anche storaciano prima, Udc poi.

Paolo Mondani

Paolo Mondani

Il curriculum di Luigi Trapazzo annota la direzione amministrativa del San Camillo Forlanini. Contemporaneo l’incarico a Raffaello Rizzo. Entrambi giungono al seguito di uno dei grand commis della prima Repubblica, Pino Pugliesi, nominato al vertice dell’azienda ospedaliera da Francesco Storace, dopo la chiusura della “partita Enav”. Un “terzetto” descritto da Paolo Mondani, in Report del 21 ottobre 2010.
Domanda: “Mi spieghi cosa diventa Enav con l’amministratore delegato Guido Pugliesi?”; “C’è una forte, violenta impietosa escalation di nomine e soprattutto sulle assunzioni e sugli appalti di matrice, di chiara matrice politica” risponde l’anonimo “quadro” aziendale. “In Enav – incalza Mondani – i dirigenti nel 1997 erano 29, 57 nel 2003, 69 nel 2009, e 87 nel 2011 com’è possibile?”. “È il solito metodo clientelare – la risposta – vengono assunti a chiamata diretta, svolgono brevi colloqui attitudinali entrano come quadri o impiegati e dopo breve tempo passano miracolosamente a dirigenti. Pensi che nemmeno dopo l’annuncio dell’indagine giudiziaria hanno smesso. In questi mesi ci sono stati nomine di dirigenti a pioggia”. Mondani: “Mi faccia qualche nome? “Luigi Trapazzo che è stato un dirigente degli ospedali San Camillo Forlanini quindi lavorava con Pugliesi portato direttamente da Pugliesi in Enav, Raffaello Rizzo anche lui viene dal mondo della sanità anche lui sempre dal San Camillo Forlanini che è stato portato col preciso scopo di curarsi la gestione degli appalti, Carlos Salazar parente dell’ex ministro Buttiglione …”.

“Il ruolo di Rizzo era quello di favorire le imprese che erogavano finanziamenti all’Udc e alla frangia romana riconducibile all’attuale sindaco di Alleanza Nazionale [ovvero, Gianni Alemanno] scriveva Alberto Statera, La Repubblica, 21 novembre 2011.
Neanche la permanenza al San Camillo-Forlanini è trascorsa tranquilla per il candidato in pectore al vertice del Comune di Guidonia Montecelio. L’annotazione stavolta interessa una duplice funzione: Direttore del Servizio centrale affari generali e legali e direttore dell’ufficio legale aziendale dell’Azienda ospedaliera. Lo mette nero su bianco il 13 settembre 2002 Giovanni Hermanin, capogruppo del Pd in Consiglio (l’autore dell’interrogazione sul portantino nominato presidente del Cotral Domenico De Vincenzi). Il quale chiede se corrisponda al vero che Luigi Trapazzo ha “svolto attività professionale forense” in contrasto con gli obblighi previsti nel contratto di assunzione alla Regione Lazio che precludono “…la possibilità di concomitante assunzione di uffici, cariche, obbligazioni di fare che comportino un impegno lavorativo ricorrente e continuativo…”. Non solo. Perché il 20 agosto, il direttore generale Pugliesi “accettava le dimissioni dell’Avv. Luigi Trapazzo dal ruolo di Direttore amministrativo” per assumerlo il giorno dopo, il 21 agosto, “con un contratto a tempo determinato (…) in qualità di Direttore del Servizio centrale affari generali e legali e direttore dell’ufficio legale aziendale fino al 20 dicembre 2016”, ossia fino a tre mesi fa. Il giorno dopo, la “Sacra famiglia”.
Da Ferraro a Trapazzo. Come classificarla se non “una “brillante operazione”? Che, immutati i connotati, contiene vantaggi incommensurabili. Il primo, da “sport estremo”, non consegnare Guidonia Montecelio ai “grillini”. Ovvero al partito che governa disinvoltamente, che se ne infischia del proprio slogan “noi siamo l’alternativa della vecchia politica”. Neppure un dubbio se poi i 5s riusciranno o meno a mettere in evidenza le scelte e la gestione dell’amministrazione locale degli ultimi vent’anni a Guidonia. Per la grosse koalition meglio prevenire che correre il rischio.
Il rischio di cosa? Di rimettere in discussione scelte passate e non solo. Perché gli atti precedenti si traducono in soldi. Tanti soldi. Accumulati da quanti si sono arricchiti sulle spalle della popolazione mercé la compiacenza del Comune e non intendono cambiare “stile di vita”.

Giuseppe Roma

Giuseppe Roma

Complicità? Dev’essere la Giustizia a dichiararlo. Mentre il rapporto tra decisione e risultato, obbliga l’osservatore a giudicare il panorama che offrono gli agglomerati-parte-del-tutto. Per effetto dell’uso di quei soldi. La “Guidonia non città” descritta dal sociologo Giuseppe Roma, il presidente del Censis, addirittura nel 1994 (all’indomani della “tangentopoli” cittadina) tuttora “integra” nella definizione.
Sono i soldi il vero nodo del problema. Da una parte per poter mantenere i benefici acquisiti, dall’altra implementare le casse personali e societarie (e onorare i debiti).
La non-domanda delle “cento pistole”: per mantenere in vita il pateracchio in un solo modo potranno i democratici eletti in Consiglio comunale convenire sullo schema aduso: ai Pd sarà vietato contestare agli alleati di coalizione – gran parte degli stessi che hanno approvato le decisioni delle giunte Rubeis-Di Palma – il ricorso alla conservazione e alla difesa di quelle modalità. Che si applicano a tutto, dalle decisioni sull’urbanistica alla progettazione di un’opera pubblica all’indizione di un appalto. Tranquilli, non sarà un Vietnam, prevarrà la “spirito di squadra” dell’un po’ per ciascuno.
Infine: se, putacaso (non remoto), nessuno vincesse al primo turno, nella rincorsa al ballottaggio come ci si comporterà? La spregiudicatezza messa già in mostra non può che concludersi nella direzione più logica. Alte le probabilità che i Fratelli d’Italia si rendano disponibili.
Una “brillante operazione”. Davvero.