80MILA EURO al chilo per la cocaina, 2.500 per l’hashish e 1.800 per la marijuana. E automobili e cellulari, e appartamenti e garage dove nascondere droga e armi, tra cui una pistola Smith & Wesson ritrovata durante l’indagine. Così organizzato il “negozio” intestato a Bianca Zarfati, la regina della neve. Brasile prima, Perù poi, i Paesi verso i quali preferiva dirigersi per rifornirsi di merce. Partendo da Albuccione.

Bianca Zarfati

Una frequentazione non così assidua negli anni più recenti. Intanto, perché il 26 maggio 2011, il Supremo Tribunal Federal di Brasilia l’aveva condannata e rispedita in Italia a seguito della richiesta di estradizione della patria giustizia. Poi perché le ormai conosciute fattezze sicuramente costituivano un impedimento al transito.

Ad appesantire la trama anche i suoi diretti “collaboratori”. Mario Emilio Severoni (alias Mario Marcelo Ayala Richard), proveniente da Bogotà, viene arrestato il 9 maggio 1999 a Madrid, nell’aeroporto di Barajas. Reca con sé due valige. Cocaina purissima in una, tagliata nell’altra, valore 9mila pesetats. 2000 dollari Usa sequestrati.

L’aeroporto si direbbe abbia costituito l’anello debole della banda. Venticinque anni fa, a Fiumicino, fu proprio la regina della neve – all’epoca ancora residente ad Albuccione – ad essere intercettata dopo un viaggio di ritorno dal Brasile. La valigia conteneva anch’essa cocaina, addirittura trenta chili. Evidentemente il peso non aveva scoraggiato la “corriera”.

In questo frattempo assurta – secondo la gip Simonetta D’Alessandro, che ha convalidato le richieste d’arresto – al vertice di una propria organizzazione. Una ventina i componenti, la metà finita agli arresti ieri l’altro a Ostia, decisamente divenuta terra di razzia delle organizzazioni criminali. Che, come si vede, non escludono di “portare rispetto” anche a sodalizi non appartenenti ai clan. Come avvenuto appunto con la banda diretta dalla regina della neve.

Secondo gli uomini della “mobile” diretti dal comandante Luigi Silipo, Bianca Zarfati coordinava l’intera “filiera”, a cominciare dall’approvvigionamento, che avveniva direttamente in Perù. Dove la “regina” mandava sue donne a reperire la droga. Volo diretto Roma-Lima, mentre al ritorno si faceva scalo in Francia. In Italia, c’erano gli aiutanti della “capa”, chi si occupava di soldi e preziosi come corrispettivo della droga importata, c’erano i pusher e i cassieri che custodivano i proventi. A chi nascondeva la droga in casa, venivano pagati affitto e utenze.

A condurre le indagini verso la (parziale) conclusione una… colomba pasquale trovata nell’auto di due appartenenti alla banda. Le buste di zucchero per insaporire il dolce in realtà contenevano cocaina. Che veniva chiamata in “formato menu”: «pasta», «barilla», «spaghetti», «rigatoni» oppure «spezzatino», «crema».