di TOMMASO VERGA
DI CERTO IL savoir faire non è il forte di Carlo Calenda. Al contrario dell’efficacia (esemplari il “caso Ilva” e la lite vinta con le compagnie telefoniche sulle tariffe a 28 giorni). Ed è quella che conta. Come riferiscono le agenzie, dopo lo “scambio di cortesie”, il ministro rivedrà la sindaca di Roma a dicembre (ovvero tra qualche giorno: almeno così si spera). Rimane da capire o scoprire per fare cosa. Si spera almeno che Virginia Raggi e Carlo Calenda riescano ad evitare il ping-pong di affettuosità che ha segnato il deja vu della scorsa settimana. Per fare posto a valutazioni, analisi e sintesi che ci si augura comuni.
Il fatto è che la sensazione provocata dalle due riunioni sin qui svolte con Carlo Calenda (in determinate circostanze le impressioni risultano più importanti dei contenuti) non depone in favore della sindaca. Che già un anno fa, il 25 novembre, sin dall’esordio del “patto per Roma”, ebbe modo di battibeccare con Matteo Renzi, presidente del Consiglio, in occasione della pubblicazione delle classifiche sulla qualità della vita, nell’Urbe calata all’88mo posto. Nella circostanza, Raggi chiese al governo di sottoscrivere un accordo per vincolare fondi dedicati: “Un patto per Roma? Noi siamo pronti, è lei che non fa proposte” la risposta dell’allora premier.
Il “patto per il Lazio” tra Nicola Zingaretti, presidente della giunta regionale, e il governo
In corrispondenza, il 20 maggio 2016, il governo sottoscriveva il “patto per il Lazio” con Nicola Zingaretti, presidente della giunta regionale. Il che rende più grave il fatto che adesso, a un anno e mezzo di distanza, si replichi in forma di commedia l’operetta capitolina. Tutto lascia pensare che la sindaca pentastellata non sappia dove mettere il becco, non abbia idea della portata e degli effetti della partita. Men che meno dell’utilizzo delle risorse finanziarie a disposizione della città. Per quanto tutte dichiarate: per Roma si possono spendere 2,6 miliardi di euro tra fondi regionali, governativi ed europei.
I primi 404 milioni di euro sono destinati alle attività produttive: per “sviluppo economico e competitività delle imprese” 270 milioni, 62 per l’innovazione, 72 per favorire l’accesso al credito. Nel capitolo dedicato alle infrastrutture e al trasporto pubblico, il “quaderno Calenda” annota 16 milioni di euro per il raddoppio della Tiburtina – non escluso possa trattarsi della stessa somma girata dalla ex “Astral” regionale alla Provincia e giacente da anni presso la Città metropolitana, mai trasformata in appalto, oppure dell’importo tutto nuovo per la realizzazione prevista dal “Prusst” della Tiburtina bis parallela all’Aniene da Roma fino a Colle Cesarano –; finanziato anche con 99 milioni l’antico progetto di prolungamento della metro B fino a Casal Monastero; infine, 3 milioni per la banda ultralarga.
In sintesi, per il dissesto idrogeologico nell’area metropolitana sono disponibili 70 milioni, 5 contro l’inquinamento, 25 per la raccolta differenziata per Roma Capitale. 530 milioni (dal bilancio regionale) per l’edilizia sanitaria, specificatamente 231 milioni per il Policlinico Umberto I (ma non doveva essere restituito alla proprietaria “Sapienza” e sostituito dal nuovo di Pietralata?), 145 milioni per l'”eterno” ospedale dei Castelli romani la cui apertura è prevista per l’anno prossimo. 257 milioni di euro per scuola, formazione e conoscenza.
Due comparti per consentire all’economia romana di riprendere vigore nel breve-medio periodo
L’elencazione, per quanto sommaria, ha una precisa ragione, chiarire i termini del problema depurato dalle polemiche e aiutare chi legge a comprendere di cosa si sta discutendo/si vorrebbe discutere/si discuterà. Sapendo che le condizioni sociali di Roma, della sua area metropolitana e del Lazio – che per larga misura ne dipende – non permettono divagazioni polemiche. Occorre agire. E con immediatezza.
Nelle batti e ribatti seguito all’incontro del 23 novembre, Carlo Calenda, parlando di attività produttive, ha fatto cenno a quelli che a suo dire sono i settori che consentirebbero all’economia romana di riprendere vigore nel breve-medio periodo, il chimico-farmaceutico e l’aerospazio. Nessuna reazione da parte della sindaca e della giunta.
Il fatto è che il ministro ha ragione. Risale all’autunno del 1993 l’ultima inchiesta sullo stato delle aree produttive nel Lazio, unica a precedere la crisi causata dalla bolla speculativa di dieci anni fa. A realizzarla fu l’Unità. Che denunciò quanto da tempo evidenziavano gli istituti di ricerca: la “qualità” della caduta del chimico-farmaceutico e dell’alimentare – proprio perché immuni da prolungati trend recessivi – delineava una crisi strutturale dell’apparato industriale.
Una tesi non (pienamente) condivisa da Unindustria, al contrario di Cgil-Cisl-Uil che, seppure all’interno della rivendicazione a sostegno dello sciopero generale contro il governo Ciampi – il 28 ottobre 1993: “per un fisco più giusto” – ne ebbero per la Regione Lazio governata da Giorgio Pasetto. Richiesta: investire i duemila miliardi (in lire) di residui passivi riportati anno dopo anno nei bilanci della Pisana.
Cessa la “guerra fredda”, inizia la riconversione delle fabbriche d’armi, migliaia i licenziamenti nella Tiburtina ex Valley
Non un trattatello storico, visto che quelle dinamiche provocarono effetti, nelle sedi istituzionali innanzitutto. In termini “realistici”: nel 1994 la Tiburtina aveva già perduto la “valley”. “Selenia”, “Elettronica”, “Vitrociset” (sì, proprio la società dei “Panama Papers” del Camillo Cruciani di Palombara Sabina), le fabbriche d’armi per intendere, erano alle prese con la riconversione verso il “civile” (la prima provò a fabbricare addirittura ascensori). Migliaia i licenziamenti, i posti di lavoro perduti in quel periodo. La causa, in origine, l’abbattimento del muro di Berlino con la cessazione della “guerra fredda”.
Nel 2003 la “svolta”. Con il “progetto Galileo” dell’Agenzia spaziale europea, 32 veicoli dedicati alla navigazione e alla localizzazione satellitare. Prima pietra che si sviluppò con la proposta “aerospazio”. Con il sostegno corale a una politica non divisa da opportunità di parte, gestita da Enrico Gasbarra, presidente della Provincia di Roma, e dall’assessore Bruno Manzi (tra il 2004 e il 2008 componente della direzione nazionale dell’Upi, Unione delle Province italiane, con la responsabilità di coordinare le politiche per l’aerospazio).
Il progetto, prima d’altro, disegnò i confini del “distretto”, con una delibera regionale che designò Guidonia Montecelio depositaria del titolo, e il “Barbieri” sede della ricerca nonché della specifica facoltà universitaria. Se oggi di aerospazio parla Carlo Calenda, in quanto ministro della Sviluppo economico, vuol dire che sono serie e concrete le probabilità che quell’iter riprenda, che la possibilità non è tramontata. Si tratta di far conoscere contenuti e “precedenti” a Virginia Raggi. Un compito che debbono assolvere il sindaco e la giunta di Guidonia Montecelio.
Nella sola Pomezia è concentrato il 18,5% delle aziende del chimico-farmaceutico presenti nella regione
Alla pari gli omologhi di Pomezia. Perché, identificando 13 poli produttivi nella regione (13 aree territoriali vaste; v. illustrazione), il Censis precisa che: “il polo di Pomezia-Santa Palomba è leader nel campo farmaceutico-biomedicale, concentrando nella sola Pomezia il 18,5% di tutte le aziende del settore presenti nella regione, ma ha delle rilevanti specializzazioni tanto nell’ambito della chimica che delle materie plastiche (il 9,8% delle aziende regionali)”. Basta rendere edotta la sindaca. Tra l’altro, non dovrebbe essere complicato visto che il primo cittadino pometino è il vice della Raggi nella Città metropolitana, il soggetto escluso dalla “tavolo” anche se istituzionalmente titolare della trattativa sul “patto per Roma”.
A meno che il Campidoglio, sindaca ed esecutivo, non abbia deciso che con Carlo Calenda, in quanto ministro di questo governo e con questa Regione nulla va concluso, tutto dev’essere rimandato a dopo le scadenze elettorali. Magari puntando ai “poteri speciali” per Roma. Cattivo pensiero? Possibile. Tanto non costa nulla incolpare del conseguente peccato l’autore. Anche se (a volte) ci coglie…