Dal 1° gennaio 2018 aumentato il pedaggio

Tang. Est-Ponte di Nona da 1,30 a 1,40 euro +0,10
Vicovaro-Roma da 4,30 a 4,90 euro +0,60
C. Madama-Roma da 3,40 a 3,90 euro +0,50
Tivoli-Roma da 2,20 a 2,50 euro +0,30

di TOMMASO VERGA

C’E’ STATO UN tempo nel quale l’intervento di qualsiasi provenienza sulle tariffe pubbliche era motivo di approfondita discussione. E mai il punto di partenza – la richiesta d’aumento – coincideva con quello d’arrivo – la variazione. Ora la questione appare e risulta di nessuna importanza. Un annuncio, un comunicato stampa (vedi la “partita autostrada”), talvolta un’inserzione a pagamento sui maggiori quotidiani, e finisce lì. Il perché è nella mente degli innovatori-rottamatori, di quelli che utilizzando la propaganda sono riusciti a convincere che l’errore fosse nelle procedure invalse nella prima Repubblica, quelli che reggono un sistema che giorno dopo giorno discrimina i meno per favorire i più abbienti.

Nella vituperata prima Repubblica, una regola non scritta, contemplava per tutti i servizi la revisione a inizio anno. Il governo annunciava gli adeguamenti e immediatamente si muoveva l’esercito contrario. Il quale, prima ancora di contestare le cifre e le percentuali dei rialzi, elencava i pericoli sistemici connessi alla inflazione conseguente. Inevitabile (vero). Precisando che il carovita avrebbe mosso la scala mobile (vero), alla pari del costo del lavoro e dei prezzi dei prodotti finiti, compresi quelli – lo spauracchio assoluto – destinati alle esportazioni. A seguire,  i rischi che avrebbero corso la lira e il bilancio dello Stato con l’inevitabile appesantimento del debito pubblico.

Ora non è più così. Intanto, differentemente da quanto si insegnava (e si teorizzava) nella Repubblica seppellita, il “mostro inflazione” non va sconfitto, è il contrario. E dal momento che è come la Titina – si cerca e non si trova – per solleticarlo si adoperano (non soltanto) le tariffe dei servizi pubblici. Le quali non vanno tenute sotto controllo, tutt’altro. Perché il libero mercato dipende da una quantità imperscrutabile di fattori che convergono nell’autoregolamentazione. Poi c’è l’ufficialità che gioca una sua partita, tanto che le cifre e le percentuali di lievitazione rispetto alle precedenti vengono sempre, invariabilmente, messe in chiaro da un “braccio” dello Stato: ministero, authority o agenzia che dir si voglia.

Solo dalle tariffe pubbliche, nel 2018 una stangata di quasi mille euro in più a famiglia 

Il “non-più mostro inflazione” attende al varco elettricità, gas, autostrada, assicurazioni, rifiuti, ticket, banche, poste. Stando all’Osservatorio dell’Adusbef (l’Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari) sarà di circa mille euro (980) la spesa in più che ogni famiglia dovrà affrontare nel nuovo anno, non solo per tariffe e pedaggi ma anche per i consumi. Secondo l’associazione ci saranno rincari medi di 25 euro per le assicurazioni auto, 40 per i pedaggi stradali, 97 per altri costi di trasporto, 49 per la Tari, 156 euro per professionisti e artigiani, 55 per i ticket sanitari, 18 per le tariffe postali e 38 euro per i servizi bancari.

Oltre al resto, a oriente della capitale, dal 1° gennaio s’è abbattuto l’aumento del 12,89 per cento del pedaggio dell’autostrada Roma-L’Aquila. La quale, a meno che Salvini non riesca nell’intento di disporre il ticket sul raccordo anulare, rimane la sola dove si paga il pedaggio anche dentro la città, Roma. Tutto compreso, un esborso che per l’utenza ha raggiunto esattamente il doppio nel decennio 2007-2017. Non si approfondirà oltre, la contrarietà all’aumento pari a sei volte la media delle tariffe nazionali (2,74 per cento), è stata espressa su hinterlandweb del 30 dicembre.

Le tre questioni che sottostanno al divario percentuale relative alla Roma-L’Aquila. Si comincia con il parziale “blocco” degli aumenti dal 2009 ad oggi. La società “Strada dei parchi” dichiara di non aver goduto degli incrementi tariffari richiesti, avendo il governo sempre calmierato quanto necessita-va per beneficiare di un servizio all’altezza delle aspettative, soprattutto sotto il profilo della sicurezza. Perché, si aggiunge, i costi sono più alti trattandosi di un’autostrada di montagna.

Il “nodo di scambio” Mandela-Vicovaro

Nel merito, alla famiglia Toto, padrona dell’autostrada, da quell’anno deve essere riconosciuto il “mancato introito”. Infatti, per una clausola del contratto del 2001, data di privatizzazione del servizio, il concessionario fissa annualmente l’aumento tariffario, che lo Stato non può modificare. Contestazione e ricorso, accoglimento di Tar e Consiglio di Stato. Il quale, oltretutto – se l’interpretazione è corretta – deve risarcire il maltolto, senza poter in futuro, in nessun caso, modificare il piano finanziario della società né gli aumenti messi in preventivo.

Applicazione delle sentenze dal 1° gennaio. Già quota-parte dell’arretrato risalente al 2009 è stato contabilizzato nel pedaggio odierno, il rimanente verrà spalmato anno per anno sommandosi a quanto l’azienda chiederà di adeguamento tariffario. Prepariamoci a una esplosione dei pedaggi.

A tariffe così congegnate, si aggiunge la classificazione di Roma-L’Aquila autostrada di montagna. Come, d’altronde, la Roma-Teramo, A25. Orbene, la definizione è corretta? Oppure contiene un di più che non si giustifica rispetto non tanto rispetto al contratto trentennale tra Stato e Carlo Toto, ma alle condizioni effettive? Vediamo.

Carsoli, 616 metri sul livello del mare; Pontelucano (Tivoli), 55; Castel Madama 245; Mandela-Vicovaro, 300 metri: montagne? (per non dire di Lunghezza e Ponte di Nona)

Che dopo Carsoli (616 metri sul livello del mare, tecnicamente “collina” comunque) l’autostrada A24 si “inerpichi” si può anche discuterne, però nel merito). Ma fino almeno alla stazione Mandela-Vicovaro, le valutazioni non possono coincidere (diversamente dall’accordo Toto-ministero). Perché il casello di Pontelucano (Tivoli) è a 55 metri sul livello del mare, Castel Madama a 245, Mandela-Vicovaro a 300 metri. Montagne? Forse in Olanda. Ovviamente, Lunghezza e Ponte di Nona non vengono nemmeno presi in esame. Spiegazioni? Nessuna. Piuttosto una sottrazione… il sarcasmo.

Le conclusioni affidate a un comunicato della società: “E’ bene sottolineare che la situazione attuale, che vede fare i conti con aumenti tariffari consistenti è frutto della mancata approvazione da ben oltre 5 anni del Piano economico e finanziario della società da parte del ministero dei Trasporti, da quando cioè è entrata in vigore la legge 228/2012.

“Tale norma avrebbe consentito non solo di adeguare l’infrastruttura autostradale ai nuovi standard di sicurezza antisismici, ma anche di rinegoziare, 5 anni fa, termini e condizioni del contratto di concessione, al fine di conseguire aumenti tariffari sostenibili per l’utenza”.

Punti interrogativi in abbondanza per comprendere come tutto ciò si concili con l’enunciazione successiva: “(…) per ogni euro di pedaggio incassato dalla Strada dei parchi, solo 43 centesimi restano nella disponibilità della concessionaria per garantire la gestione e la manutenzione dell’infrastruttura, mentre i restanti 57 centesimi vanno a vario titolo allo Stato”.