di TOMMASO VERGA
STRADA DEI PARCHI ovvero l’economia ai tempi dei “salvatori della patria” (oppure, adeguando la proprietà del linguaggio, dei “Capitani coraggiosi”, certamente non quelli di Rudyard Kipling). Un trattatello – ma si irrobustirà (auto)strada facendo – che potrebbe essere utilizzato dagli insegnanti della materia, purché tengano fede alle modifiche. Rapide, anno dopo anno.
L’invito è a una visita guidata. Alla scoperta del “privato è bello”. Non una disputa scientifica, né filosofica, né letteraria, ma proprio un esame sul campo. Si prende un bene pubblico, per dire… due autostrade, patrimonio comunemente inteso come servizio alla collettività. Dalle implicazioni enormi, non restringibili a una contesa sulle tariffe. Lo studio, il lavoro, la salute, l’economia, il movimento delle merci, per dire cosa ne dipende.
Sullo sfondo – e si entra direttamente nel merito delle trasformazioni del territorio causate dal rapporto città-campagna – si erge la sembianza del progettista, l’amatriciano Anacleto Gianni (sì, l’antico presidente della Roma, residente a Poggio Cesi, la collina sopra Guidonia Montecelio), il quale intendeva si realizzasse un sistema che collegando il Tirreno con l’Adriatico – non pensava a Strada dei parchi – mettesse fine all’isolamento delle popolazioni dell’entroterra laziale-abruzzese. Il possidente non immaginava certo che quella ardita strategia sarebbe divenuta una tagliola, la definitiva condanna per le popolazioni che intendeva riscattare.
Ciò detto, si fissa l’ingresso della visita sugli oggetti-autostrade, e si incappa in un “servizio pubblico a gestione privata”. Stando ai teoretici del tempo, il non plus ultra. Il nome, qui sì, Strada dei parchi, seppure il capolinea non si attesta a Paperopoli: 108 km tra Roma Est e L’Aquila, euro 11.60. A comparazione, un tratto colmo di difetti per principio, essendo a gestione pubblica, Roma Est-Arezzo, 208 chilometri, costo 12.10 euro. Quasi la metà del primo. Ma non finisce qui.
Perché, dal 1° gennaio 2018 – s’è scritto: hinterlandweb del 30 dicembre e del 2 gennaio –, il pedaggio della prima è aumentato del 16,92 per cento, quello della ”fuori dai tempi” del 2,5. La ragione? Una soltanto la causa del “benestà la differenza”: le clausole del contratto, in questo caso il rimborso (a rate: proseguirà per tutto il lustro) delle spese sostenute negli ultimi 5 anni dal concessionario, aumentate del tasso d’inflazione. In sostanza, sul tratto Arezzo-Roma Est sono stati applicati i pedaggi calmierati, per Strada dei parchi dichiarati inammissibili. Lo hanno sentenziato Tar e Consiglio di Stato.
E il governo? Rispondendo ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa, Graziano del Rio, il ministro addetto ai trasporti, così ha commentato la sentenza del Tar che stabilisce il diritto della “Toto holding spa” di recuperare il congelamento di parte degli aumenti attraverso le tariffe dei pedaggi, “aggiornamenti che erano stati approvati, poi c’è stato un problema interpretativo” ha detto De Rio. “Ora – ha precisato – torneranno a breve al Cipe. L’aggiornamento verrà fatto e verrà riconosciuto ai gestori, niente di drammatico”. Valore? circa il 10 per cento. Dal 1° gennaio 2018, con l’aggiunta di spese e inflazione diventato 12,96. Era il 25 luglio del 2017.
In questi giorni di inizio anno, il sistema politico – non tutto e con posizioni variegate – ha promesso che metterà riparo. Nicola Zingaretti, presidente della giunta del Lazio, ha detto che incontrerà il ministro Del Rio. Annuncio tutto da interpretare. Perché, a meno che, pura fantasia, non si voglia chiedergli di recedere dal rivendicare il credito, non si capisce come convincere Toto. Chissà quale sarebbe stato l’effetto sei mesi fa se, all’indomani della sentenza, anziché accettare supinamente il verdetto, fossero iniziate le proteste.
Che cominciano oggi – stamattina il sit-in a Vicovaro-Mandela – grazie alla mobilitazione dei sindaci e delle amministrazioni locali. Altrimenti gli aumenti sarebbero passati senza colpo ferire. Salvo le tasche degli utenti. La “piattaforma rivendicativa”: 1) sospensione degli aumenti dei pedaggi e apertura di un tavolo istituzionale teso a ridefinire l’atto di concessione autostradale con Strada dei Parchi SpA e gli accordi conseguenti affinché i pendolari e i cittadini possano pagare una tariffa adeguata e riparametrata ad un’area interna svantaggiata come è quella di questi territori; 2) declassificazione del tratto urbano della A24 che va dalla barriera di Roma Est all’intersezione con la Tangenziale Est di Roma (Verano); 3) declassificazione da tratto montano a tratto non montano dalla barriera di Vicovaro-Mandela a Roma.
Sul versante abruzzese, le organizzazioni sindacali di categoria hanno chiesto agli autotrasportatori di non utilizzare le due autostrade.
A volo d’angelo, vanno annotati i silenti 5stelle e Forza Italia (Di Maio e Berlusconi stanno litigando su chi deve andare a lavorare), così come Matteo Salvini (che ha però ri-chiesto di estendere gli aumenti al grande raccordo anulare). Parlano (contro) i Fratelli d’Italia: forse con il biberon nel 2011 quando Berlusconi privatizzava Strada dei parchi e Giorgia Meloni amministrava in quel governo. Infine, Matteo Renzi e Carlo Calenda: il canone Rai ha alimentato la contesa tra i due. Il capitolo “Aumenti tariffari dei servizi, mille euro a famiglia per quest’anno” non; figurarsi i pedaggi.
Cosicché, al netto della propaganda elettorale, nulla si immagina potranno ricavare i politici dagli annunciati incontri con (si presume) il governo. Al contrario di Strada dei parchi, governata da una spa a totale capitale privato, Carlo Toto unito alla famiglia Benetton. Mercé uno scrigno di non facile forzatura e un meccanismo azionato da fattori decisamente strutturati, rispondenti alla “rendita” più che al rischio d’impresa.
Sarebbe indispensabile modificare le condizioni di partenza, le clausole che, privatizzando il bene pubblico, hanno sinora permesso la salvaguardia degli interessi societari, clausole che hanno convinto Tar e CdS. Non sembra aria. Nemmeno al parco.